Sono anni che l'Unicef, i governi di vari Paesi, le associazioni per la difesa dei bambini e dei giovani lanciano l'allarme. Sono anni che si tengono udienze al Congresso degli Usa e nei parlamenti europei. Ma è il provveditorato di Seattle che ha detto basta ed è partito lancia in resta contro le grandi piattaforme social, accusandole di essere responsabili dei problemi mentali che attanagliano la gioventù e l'infanzia americana, e chiedendo che rimborsino le scuole delle spese aumentate per far fronte alla crisi.
LA SITUAZIONE
Nel 2021, le principali associazioni mediche e psichiatriche americane avevano affermato che il Paese stava vivendo «un'emergenza nazionale nella salute mentale dell'infanzia e dell'adolescenza», un'emergenza in cui la pandemia e le pressioni dei social avevano giocato un ruolo cruciale. Il provveditorato di Seattle va oltre, e incolpa a chiare lettere TikTok, Instagram, Facebook, YouTube e Snapchat del peggioramento della salute mentale degli alunni e dei loro disturbi comportamentali, tra cui ansia, depressione, alimentazione disordinata e cyberbullismo.
I DANNI
L'azione legale è fondata su un approccio diverso, evitando di attaccare i contenuti presentati da altri: «I querelanti si afferma - non sostengono che gli accusati siano responsabili per ciò che terze parti hanno affermato sulle piattaforme», ma, piuttosto, prendono di mira la strategia aziendale degli accusati, «che raccomandano e promuovono contenuti dannosi per i giovani, come l'anoressia e i disturbi alimentari». In altre parole, si torna a parlare dei famosi algoritmi, che già nel 2021 erano arrivati prepotentemente alla ribalta dopo che una talpa di Facebook, Frances Haugen, aveva testimoniato al Congresso che grazie a studi interni l'azienda era consapevole che Instagram (di cui è proprietaria) aveva un effetto dannoso sugli adolescenti, ma aveva dato la priorità ai profitti rispetto alla sicurezza, scegliendo di nascondere agli investitori e al pubblico i risultati dei propri studi.
LA PREVENZIONE
La quasi totalità delle scuole americane ha già da vari anni bloccato i social dai computer scolastici, ma questo non significa che i giovani non li controllino continuamente sui propri smartphone, mentre peraltro il divieto talvolta impedisce il funzionamento delle lezioni. Non a caso ci sono state proteste da parte di professori che non potevano accedere a YouTube per mostrare video necessari per l'insegnamento. Il problema è vastissimo e di difficile soluzione, ma il dipartimento scolastico di Seattle spera che altri provveditorati si uniscano a loro per creare una massa critica di pressione che spinga i social a una revisione dei loro algoritmi. Per ora i grandi network hanno invece reagito solo in modo difensivo. Google ha ricordato di aver investito massicciamente per creare «un ambiente sicuro» per i più giovani, Facebook afferma di aver sviluppato almeno una trentina di strumenti per favorire i giovani e il controllo che le famiglie vogliono esercitare sul loro navigare, Snapchat assicura di avere la collaborazione di enti e organizzazioni che lavorano nel settore della sicurezza e del benessere mentale dei giovani.
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