Università in crisi, Daniele Checchi: «I ragazzi arrivano poco preparati, servono corsi per aiutare i più deboli»

Martedì 23 Maggio 2023 di Lorena Loiacono
Università in crisi, Daniele Checchi: «I ragazzi arrivano poco preparati, servono corsi per aiutare i più deboli»

Professore Daniele Checchi, docente di economia politica dell'Università Statale di Milano, i dati sull'abbandono al primo anno di università sono davvero così allarmanti?
«La situazione direi che è ben più grave di quello che svelano questi dati».

Perché?
«Perché agli abbandoni del primo anno, riportati dal ministero, si sommano anche quelli del secondo e del terzo anno.

Volendo osservare il fenomeno nella sua interezza, sappiamo che il dato finale è molto più grave».

A quanto si arriva?
«Un tasso di abbandono complessivo purtroppo non c'è perché ci sono gli studenti cosiddetti silenti, vale a dire coloro che fanno una o due esami l'anno ma poi non prendono mai la laurea. Di 100 studenti che si iscrivono all'università, alla fine si laureano solo in 60: registriamo un 40% di abbandono. Se non fosse così, se tutti si laureassero, avremmo una percentuale di laureati molto più alta. Ma sappiamo bene che non è così».

Si parte da una base di immatricolazioni già molto ridotta rispetto al numero dei diplomati.
«Calcoliamo che arriva al diploma il 70% di ogni coorte di nascita. Di questi 7 su 10, si iscrivono all'università in 50 per poi abbandonarla in 20. Quindi si laureano 30 studenti su 100. E' troppo basso questo dato, considerando che l'obiettivo di Lisbona è fissato al 40%».

Il tasso di abbandono al primo anno a cosa può dipendere?
«Gli abbandoni sono aumentati nel periodo del covid, visto che è stato registrato un salto di un punto percentuale. E teniamo conto che sono stati colpiti molto anche gli studenti del secondo e del terzo anno. Ma non è stata l'unica causa».

Quali altri motivi ci sono alla base dei ripensamenti da parte degli studenti?
«Il problema vero degli abbandoni è che molti studenti lasciano perché non hanno le competenze necessarie per andare avanti, non hanno le conoscenze richieste per continuare a seguire i corsi. Alcuni infatti vengono bloccati già nei test di ammissione che sono diffusi in molti corsi universitari. E' qui che bisogna intervenire».

In che modo?
«Serve un anno di azzeramento delle competenze, per avviare un corso che permetta a tutti di raggiungere la stessa base di partenza richiesta dall'università».

Una sorta di corsi di recupero?
«Sì, servono per rafforzare la preparazione degli studenti più deboli , quelli che non arrivano all'università con una solida base nella formazione proveniente dalla scuola superiore».

È possibile organizzare corsi di recupero per gli universitari?
«La legge già c'è, si tratta dell'Ofa: l'obbligo formativo aggiuntivo. E' stato pensato proprio per sostenere le matricole nell'avvio degli studi e vale la pena ricordare che è previsto dall'articolo 6 del 2004, quindi dall'allora ministra Moratti».

Sono diffusi negli atenei?
«No, i corsi in molti casi non si fanno».

Il fenomeno dell'abbandono ha colpito soprattutto le materie stem, in realtà in cerca di nuovi iscritti.
«Purtroppo quello delle materie tecnico scientifiche non è mai stato un ambito che abbia attirato moto gli studenti».

Come si individua uno stridente debole?
«Gli studenti possono sostenere gli esami più volte, se non vengono promossi. E' chiaro che se vedi un ragazzo tornare, due, tre o quattro volte allo stesso esame vuol dire che da solo non ce la fa. A quel punto bisogna prenderli e formarli più intensamente per permettere loro di tornare in paro con gli altri».

È un problema veder andar via aspiranti laureati?
«Certo, proprio in prospettiva lavorativa: i laureati sono lavoratori efficaci, per autonomia sul campo e per competenze, dal punto di vista dell'attribuzione dei compiti si può fare conto su di loro».

Che cosa si rischia?
«Perdere una quota di laureati in settori specifici, come quello tecnico e scientifico, chiaramente ha ricadute anche sullo sviluppo tecnologico del Paese».

Vuol dire che l'Italia perde posizione?
«Si rischia di restare indietro rispetto agli altri Paesi europei».

© RIPRODUZIONE RISERVATA