Mentre la scuola prova a capire come potrà riprendere le lezioni a settembre, ancora fortemente sospesa tra vaccini e distanziamento, si torna a parlare di didattica a distanza.
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Lo studio, con il punto di vista di studenti e docenti
In quest'ottica la Fondazione Agnelli presenta un'analisi della dad e di quello che è stato fatto nell'anno scolastico appena concluso. Un anno comunque difficile dal punto di vista della pandemia ma con la scuola che, dopo i primi mesi di lockdown della primavera 2020, avrebbe dovuto partire a vele spiegate anche con la dad. Ma non è sempre stato così: poteva andare molto meglio.
È quanto emerge dalla ricerca La DaD nell’anno scolastico 2020-21: una fotografia. Il punto di vista di studenti, docenti e dirigenti, realizzata dalla Fondazione Agnelli insieme al Centro Studi Crenos e al Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Cagliari su un campione rappresentativo di 123 scuole medie e superiori, statali e paritarie, in tutta Italia. In ogni istituto sono stati proposti questionari a studenti del III e V anno, docenti e dirigenti scolastici, raccogliendo complessivamente le risposte di 105 dirigenti scolastici, 3.905 docenti e 11.154 studenti.
Gavosto: «Nella dad poca innovazione»
«Dopo il lungo lockdown della primavera 2020, ancora per tutto l’anno scolastico 2020-21 la Didattica a distanza è stata la principale risposta del sistema educativo italiano ai problemi creati dall’evoluzione della pandemia e dalle misure di sicurezza sanitaria, in particolare, per la scuola secondaria di II grado», ha commentato Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli.
«In attesa di sapere se e quanto gli apprendimenti ne abbiano sofferto, la ricerca che presentiamo oggi ci dice, fra le tante informazioni, che nella pratica quotidiana della DaD non c’è stato alcun significativo cambiamento metodologico e organizzativo rispetto a prima della pandemia. Quasi tutte le scuole superiori italiane hanno riproposto online e in sincrono la tradizionale didattica basata su lezione frontale, compiti a casa e verifiche, senza un ripensamento dei tempi, delle attività e degli strumenti, che tenesse conto della differenza di fare scuola in classe o a distanza. E senza un vero sforzo di sperimentare strategie per valorizzare di più autonomia e protagonismo dei ragazzi. Ciò forse può in parte spiegare perché gli studenti rivelino la loro fatica a seguire le lezioni in DaD, a tenere alte motivazione e attenzione, a interagire positivamente con professori e compagni, difficoltà tipiche dell’apprendimento da remoto».
In base a quanto emerge, infatti, la scuola online ha semplicemente replicato gli schemi della lezione frontale in presenza. Senza sfruttare le potenzialità dell'online, si è andato ad appesantire le lezioni a distanza. Il 91% degli studenti dichiara infatti di avere trascorso tra le 5 e le 6 ore al giorno collegato in video per attività in sincrono, dato confermato da un’analoga percentuale di dirigenti scolastici, secondo i quali il monte ore non è cambiato o ha visto eventualmente una riduzione proporzionale in tutte le materie. Secondo i presidi, solo l’8% delle scuole ha operato una ristrutturazione significativa del quadro orario, con maggiore spazio alle materie fondamentali o caratterizzanti dell’indirizzo.
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Online solo videolezioni e verifiche
In sostanza, l'innovazione didattica non ha preso il posto delle abitudini della classe frontale: 9 studenti su 10 raccontano infatti che le lezioni in video, le verifiche e i compiti a casa sono state le uniche attività proposte da tutti i docenti, senza particolare differenza tra le materie. Solo in 1 caso su 3 sono state proposte anche attività di ricerca che gli studenti potevano svolgere in autonomia o anche in gruppo, mentre in meno di 1 caso su 5 sono state sperimentate le più innovative piattaforme digitali che propongono giochi didattici, app ed esercizi interattivi per personalizzare i percorsi di apprendimento.
Anche i presidi hanno confermato la prevalenza della videolezione sulle altre possibilità attività. Una scelta fatta anche lì dove era possibile e, in fin dei conti, era anche necessario proporre attività alternative. È il caso delle attività laboratoriali degli istituti tecnici e professionali per i quali le indicazioni ministeriali consentivano l’offerta in presenza. Più di 2 docenti su 3 si sono astenuti dal proporla, non per timore dell’opposizione di studenti e genitori, ma per una propria valutazione di opportunità dato il rischio pandemico.
In dad voti buoni ma apprendimenti ridotti
Risultato? La pesantezze delle lezioni, difficili da seguire a distanza. La maggior parte degli studenti denuncia infatti un maggiore senso di affaticamento (65%) dopo una giornata di scuola in dad e una maggiore difficoltà a mantenere l'attenzione (73%).
Ma non solo, le conseguenze potrebbero essere evidenti anche dal punto di vista degli apprendimenti: gli studenti dichiarano di avere affrontato verifiche e interrogazioni in dad con minore ansia rispetto a quelle in presenza e con un rendimento migliore. Il segreto di questo successo, per 7 ragazzi su 10, dipende dal fatto che in dad è relativamente più facile suggerire o copiare.
In questo quadro, due ragazzi su 3 assicurano che i loro voti non sono cambiati rispetto a quelli che avrebbero ricevuto in presenza, ma solo il 57% risponde di avere imparato più o meno quanto avrebbe fatto a scuola. Una percentuale che scende ancora di più, al 46%, per gli studenti che non hanno grande fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità di apprendimento (bassa percezione di autoefficacia). Sono gli stessi studenti quindi a pensare che la dad abbia penalizzato in particolare chi tra loro aveva già fragilità dal punto di vista scolastico.
Dopo un anno di dad, i professori sono preparati alla didattica digitale?
Lo studio della Fondazione Agnelli mette in luce poi anche l'aspetto della formazione digitale del corpo docenti: l’85% degli insegnanti dichiara di avere competenze più che sufficienti o del tutto adeguate per le esigenze didattiche richieste dalla dad ma i presidi si soffermano maggiormente sui bisogni formativi dei propri professori ancora da colmare.
«Da questo punto di vista – sottolinea Adriana Di Liberto (Centro Crenos – UniCa) - l'indagine rivela che la formazione dei docenti è stata svolta soprattutto per migliorare le competenze nell’uso delle piattaforme informatiche, ma molto meno per sviluppare competenze relative alle metodologie didattiche e di valutazione specifiche per un contesto dad. Inoltre, la formazione è stata effettuata perlopiù con risorse interne, con il probabile risultato che si sia operato in modo più efficace laddove le condizioni di partenza erano già migliori che altrove. Vi è quindi il rischio che anche il modo in cui è stata impostata e gestita l’organizzazione della dad nelle scuole superiori Italiane possa influire negativamente sulle già troppo ampie disuguaglianze educative del nostro Paese».