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Covid, la cinese-veneziana fuggita al virus e rientrata in patria: «Qui la pandemia è scomparsa»

Salute > Storie
Mercoledì 13 Gennaio 2021 di Raffaella Ianuale
La cinese-veneziana fuggita al virus e rientrata in patria: «Qui il Covid è scomparso»
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VENEZIA - Poco prima del lockdown stava aprendo un ristorante cinese a Venezia, ora sta progettando di avviare un locale italiano a Shaghai. La pandemia ha rovesciato la vita di Linda Xu, 28 anni, nata a Changzhou, cittadina a un'ora da Shanghai e giunta in Italia grazie a uno scambio culturale. Aveva 17 anni quando è arrivata a Venezia per frequentare l'ultimo anno all'alberghiero Barbarigo, ospite del convitto Foscarini. In quell'anno si è innamorata della città e ha deciso di viverci. Si è quindi laureata all'Università per stranieri di Siena, si è sposata con Emanuele un giovane siciliano conosciuto tra i banchi universitari e assieme sono rientrati in laguna. Lavorava come guida e interprete, fino all'esplosione dei contagi e al rientro in Cina.

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Lei, come molti suoi connazionali, è infatti tornata in patria: in Italia senza turismo non lavorava e poi lì il virus è sotto controllo. «I miei genitori erano preoccupati, specie quando in Italia è scoppiata la seconda ondata. In Cina ora è tutto aperto: ristoranti, bar, discoteche, non è nemmeno obbligatorio portare la mascherina» racconta in un italiano perfetto Linda Xu, trasposizione occidentale di Nu Xu. Figlia unica, come imponeva la legge cinese all'epoca della sua nascita, non se l'è sentita di lasciare i familiari in apprensione. Ma ora che è a Shanghai, il suo cuore è a Venezia.

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IL RIENTRO

«Mi sento anche un po' italiana - racconta - sono stata accolta bene, il lavoro mi ha dato soddisfazioni e conto di tornarci appena tutto questo finirà, ho ancora lì la mia casa». Descrive con entusiasmo i suoi impegni come interprete alla Mostra del Cinema, le sue collaborazioni con la Biennale, il suo essere un punto di riferimento come interprete quando a Venezia giungevano dalla Cina registi, nomi importanti dell'arte o degli affari. «Le cose andavano bene e con mio marito volevamo aprire un ristorante cinese a Mestre». A gennaio dello scorso anno avevano già trovato la sede, vicino al museo M9, e ingaggiato commercialista e architetto. «Poi il lockdown ha fermato tutto - dice - non è stato facile tornare in Cina, io con passaporto cinese ce l'ho fatta, mentre mio marito attende ancora il visto dall'ambasciata».

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Nelle sue parole il racconto di una Cina, che dopo il lockdown dello scorso inverno, già dall'estate è tornata a vivere. Non tanto per le vaccinazioni - «la Cina ha un miliardo e mezzo di abitanti - dice - vaccinare tutti richiede anni» - ma per il rispetto ferreo dell'isolamento. Se una persona viene a contatto con un positivo deve rimanere in casa, apparentemente come in Italia, solo che in Cina «ti sbarrano la porta di casa e ti portano la spesa». Se invece si è positivi, ma senza malattia si finisce in una sorta di albergo. «Sono state costruite queste grandi strutture alle periferie delle città - spiega - dove rimani chiuso in una stanza molto gradevole, ti lasciano il cibo fuori dalla porta e tutti i giorni vengono a fare le pulizie. Anch'io al rientro dall'Italia ho trascorso la quarantena in uno di questi luoghi». Sono attentissimi a non far ripartire i contagi e basta un caso perché la gente vada nel panico. «Hanno riscontrato cento positivi nella città più fredda a Nordest della Cina, dove ora ci sono meno venti gradi. Hanno subito chiuso la città e fatto tamponi ai dieci milioni di residenti». Bloccate anche le importazioni per alcuni casi di positività in aeroporto. Ora a Shanghai Linda lavora in un ristorante italiano e quando arriverà suo marito conta di aprirne uno tutto loro. In attesa di tornare a Venezia e riprendere la sua vita esattamente dove l'ha lasciata un anno fa.

Il titolare del ristorante cinese: «Mi sono vaccinato in Cina lì ora il virus non esiste più. Contagiati? Saranno una decina e finiscono negli "hotel-galera"»

 

Ultimo aggiornamento: 14:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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