Covid, "diario" dalla trincea: «Il tampone, la portiera e un medico che vuol fare il medico»

Domenica 13 Dicembre 2020 di Maurizio Ridolfi
Covid, "diario" dalla trincea: «Il tampone, la portiera e un medico che vuol fare il medico»

«Tampone o non tampone, questo è il dilemma...

Nella mano dell'Amleto-medico di famiglia non c'è il teschio ma questo lungo cotton fioc da inserire, con perizia, nelle cavità rinofaringee del paziente. Sto parlando del tampone antigenico rapido per il Covid, la nuova “arma” nelle mani delmedico di famiglia». Lo racconta il dottor Maurizio Ridolfi nel diario di "Un medico in trincea". 

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«C’è stato, e c’è tutt’ora, grande dibattito circa la possibilità di coinvolgere attivamente i medici di famiglia nella sua esecuzione. Ma l'amletico dubbio sul "dove, come e quando" fare questo benedetto tampone rimane sospeso nell'aria - sottolinea -  E’ davvero utile e sicuro far fare il tampone ai medici di famiglia? Permettetemi di dubitarne. Innanzitutto per una ragione semplicissima: la stragrande maggioranza degli studi medici è ospitata in palazzi condominiali. Già la sola presenza assembrata di pazienti che debbono fare semplicemente i vaccini mette, giustamente, in apprensione la portiera del mio stabile tanto da leggere ormai nei suoi occhi la sagacia di un agente dei servizi segreti. Figuriamoci se dovessimo fare i tamponi. Passare da medici curanti a medici “untori” sarebbe un attimo».

L'interrogativo

«Qualcuno obietterà, a ragione, che la ASL proporrà ambienti e tempi dedicati a tale attività  coinvolgendo i medici di famiglia con le dovute, si spera, protezioni. Ma al di là del “dove” e del “come” il punto vero che la pandemia sta mettendo in evidenza è: di che cosa si deve occupare il medico di famiglia? Di salute, ovviamente. E allora, la salute è solo Covid? Far eseguire tamponi per il Covid è davvero il modo migliore di utilizzare un medico per difendere la salute della gente? Tantissimi pazienti, in questo periodo emergenziale, non riescono ad essere ricevuti negli ambulatori diabetologici, cardiologici, internistici ed ospedalieri in generale e vedono nel proprio medico di famiglia l’unico interlocutore della propria salute extra Covid. Cosa ne facciamo di loro? E comunque di Covid ce ne occupiamo, eccome. A chi pensate si rivolga in prima istanza il 95% dei contagiati, quello non ospedalizzato?»

«Quanto vorrei tranquillizzare la portiera che ormai mi vede come un "nemico" e mi tratta come una potenziale calamita di contagiati. Cara signora, le direi, io vorrei solo aiutare a produrre più salute. E per far questo non devo fare tamponi ma magari essere messo nelle condizioni di fare meglio il mio lavoro di medico
di famiglia. Basterebbe poco in fondo per assicurare più valore aggiunto al mio impegno e fare in modo che i pazienti siano ben curati - sottolineo questo verbo - nei nostri studi: una sana dose di telemedicina, elettrocardiogrammi e spirometrie fatte subito, la possibilità di decidere autonomamente l'uso di alcuni importantissimi farmaci senza dovermi piegare alla burocrazia ed alle lunghe liste d’attesa degli specialisti. “Governo Clinico”, lo chiamano - conclude - Si dice che non tutti i mali vengono per nuocere. Chissà se la pandemia romperà anche alcune delle posizioni incrostate nel nostro sistema sanitario. Pensieri "alti" ma il Covid non mi fa staccare i piedi da terra. Cara signora portiera, sa che le dico? "In attesa della telemedicina non demorda nell'auto-difesa e mi aiuti a tenere alta la guardia contro gli assembramenti dei pazienti».

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