Nonostante gli allert dell’Organizzazione mondiale della sanità diffusi a partire dal 5 gennaio 2020, e nonostante fosse in vigore già da 14 anni il piano nazionale per far fronte a una pandemia (sebbene influenzale), l’Italia tardò drammaticamente ad applicare le prescrizioni previste. Tutto questo contribuì all’ecatombe che ha segnato la storia del nostro Paese. Sono tante le cose che non hanno funzionato, secondo quanto emerso nell’inchiesta della Procura di Bergamo. Rischiano di finire a processo 19 persone, dalla classe politica - compreso l’allora premier Giuseppe Conte e il suo ministro alla Salute Roberto Speranza - ai dirigenti e tecnici delle istituzioni sanitarie nazionali e locali. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono: omicidio colposo di 57 persone, epidemia colposa, lesioni colpose nei confronti di 34 operatori sanitari, falso e rifiuto di atti d’ufficio.
LE ACCUSE
Secondo i pm, a livello nazionale, non venne verificata
tempestivamente la dotazione di mascherine, guanti, tute e
sovrascarpe per il personale sanitario. La richiesta alle regioni
sulle giacenze fu inoltrata «solo il 4 febbraio». E
«solo il 6 marzo» venne bandita una procedura negoziata
per l’acquisto di dispositivi medici per terapia intensiva e
sub-intensiva, «non provvedendo - come si legge nel capo di
imputazione - al tempestivo approvvigionamento alla luce
dell’insufficienza delle scorte». Inoltre, «solo
il 24 febbraio» si diede avvio al censimento dei reparti di
malattie infettive pubblici e al numero di ventilatori polmonari
presenti nelle strutture di ricovero. Non venne nemmeno
«verificata - secondo l’accusa - l’adeguata
formazione del personale sanitario, anche con lo svolgimento di
specifiche esercitazioni.
«Non furono attuati i protocolli di sorveglianza per i
viaggiatori provenienti da aree affette», come appunto
avvenne per la coppia di turisti cinesi (i primi risultati positivi
al Covid in Italia). La sorveglianza fu limitata solo ai voli
diretti provenienti dalla Cina, e non a quelli indiretti, come
previsto dal Piano nazionale pandemico del 9 febbraio 2006.
Inoltre, l’allora capo della protezione civile Angelo
Borrelli «solo a partire dal 26 febbraio 2020»
istituì la “Piattaforma per caricare i dati
finalizzati alla sorveglianza epidemiologica».
LA MAIL DI FONTANA
Il Comitato tecnico scientifico (Cts) istituito dalla Protezione civile il 5 febbraio 2020 è accusato, in concorso con Conte e il governatore della Lombardia Attilio Fontana, di non aver esteso per tempo la “zona rossa” ai comuni della Val Seriana (inclusi Alzano Lombardo e Nembro), «nonostante l’ulteriore incremento del contagio» nella regione e «l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il Piano Covid, corrispondevano allo scenario più catastrofico». Questo comportò - secondo i pm - almeno 4.148 morti in più in quel territorio. In particolare Fontana, con due distinte mail del 27 e 28 febbraio inviate a Conte, «non segnalava alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio in va Seriana», «e dunque non richiedendo ulteriori e più stringenti misure di contenimento, nonostante avesse piena consapevolezza che l’indicatore “r0” avesse raggiunto valore pari a 2».
LA DIFESA DI CONTE
«Oggi c’è quasi una rimozione collettiva, ma
è stato un virus invisibile con cui abbiamo lottato quasi a
mani nude, perché siamo stati il primo paese occidentale
più colpito - ha spiegato ieri il leader del M5S - Non
c’era un vademecum, abbiamo seguito un percorso e ritengo di
avere agito con massimo impegno, senso di responsabilità e
umiltà nel confronto con gli scienziati, che non esibivano
certezze nella prima fase della pandemia». «Sono
assolutamente disponibile a offrire la mia massima collaborazione
in tutte le sedi giudiziarie che mi verranno offerte - ha precisato
Conte - per le vittime di Bergamo, ma non solo: dobbiamo onorare
188mila morti in tutto il territorio nazionale. Questa è una
ferita che non si rimargina».
A Brescia intanto è già stato costituito il tribunale
dei ministri che dovrà valutare le posizioni di Conte e
Speranza. Lo presiederà una donna, Mariarosa Pipponzi,
presidente della sezione lavoro del tribunale di Brescia, che
sarà affiancata da altri due magistrati, tutti estratti a
sorte. I giudici avranno 90 giorni per decidere se archiviare
oppure trasmettere gli atti al procuratore capo di Bergamo, per
chiedere l’autorizzazione a procedere alla Camera
competente.
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