Tumore al seno, più casi e meno test. Ma con diagnosi precoce guarigione per 90% donne affette

La Lega Italiana Lotta contro i tumori lancia l’allarme: quest’anno si attende un aumento delle diagnosi (più 40 per cento in donne sotto i 50 anni)

Mercoledì 8 Marzo 2023 di Maria Rita Montebelli
Tumore al seno, più casi e meno test. Ma con diagnosi precoce guarigione per 90% donne affette

Era prevedibile e in qualche modo annunciato. Dopo tre anni di pandemia, un'escalation di casi di tumore del seno.

Perché non sono stati fatti i test per le nuove diagnosi né sono stati capillari i controlli. A lanciare l'allarme in occasione dell'8 marzo è la Lega Italiana Lotta contro i Tumori (Lilt).

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«Nel corso di quest'anno - spiega Francesco Schittulli, presidente della Lilt - sono attesi oltre 55.700 casi con un aumento dello 0,5% rispetto al 2020. Il 40% dei quali in donne sotto i 50 anni ed una mortalità di almeno 10 mila persone, a causa delle diagnosi tardive. Archiviata, almeno in parte, la pandemia di Covid, ci troviamo davanti ad un'altra emergenza. Contro la quale la Lega Italiana Lotta contro i Tumori ha schierato il proprio esercito di medici per divulgare la cultura della prevenzione e visitare quante più donne possibile, perché individuare il tumore in stadio iniziale, significa offrire la possibilità di guarire».


LA CURA
Gli ultimi anni si sono tradotti in 817.000 mammografie in meno, in 3.558 diagnosi stimate di tumore mammario in meno e un ritardo accumulato di 4,8 mesi. Nella lotta al cancro prima si arriva ad una diagnosi certa e maggiori sono le probabilità di cura. Solo lo screening mammografico ha ridotto del 30% la mortalità di una delle neoplasie più diffuse e frequenti in tutto il mondo. Da noi, prima della pandemia, il 63% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi e la media europea si ferma al 57%.


«La diagnosi precoce consente ad oltre il 90% delle donne affette da questa neoplasia di guarire. Fondamentale dunque è recuperare i ritardi dello screening - fa sapere il professor Saverio Cinieri, presidente dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica ma è ancora più importante convincere le donne a partecipare ai programmi di screening che, soprattutto al Sud, risentivano di una scarsa adesione anche prima della pandemia». Esiste un "sommerso" di casi non ancora diagnosticati (o individuati in ritardo) che non è ancora stato quantificato e che può rappresentare un grande problema per il sistema sanitario per i prossimi anni. Inoltre, nonostante l'invito a partecipare agli screening sia quasi a regime, non sempre le donne si sottopongono all'indagine per le quali vengono chiamate. Gli inviti in meno a partecipare agli screening per il collo dell'utero superano il milione e 500 mila, mentre gli esami non eseguiti sono oltre 780mila (-35%) rispetto al 2019. «Oggi dobbiamo dividere la nostra vita in un pre e post-pandemia Covid - ha sottolineato ancora Schittulli -. Le cure contro il cancro erano riuscite ad allungare l'aspettativa di vita dei pazienti, sino a 85 anni. L'esperienza ormai ci dice che quando riusciamo a individuare in tempo la presenza di un tumore noi riusciamo a vincere la battaglia e a salvare anche il 98% dei pazienti. Nei tre anni di lockdown abbiamo assistito a una situazione paradossale, si è accantonata la prevenzione e la diagnosi precoce, e si è parlato solo della pandemia da Covid».


IL CONVEGNO
E intanto le donne oncologhe si stanno organizzando per fare la propria parte nel fronteggiare questa pandemia di tumori. Si è tenuto a Roma un convegno nella Sala della Regina di Montecitorio e organizzato da Women for Oncology (W4O) Italy. «W4O nasce come "costola" dell'ESMO, la Società Europea di Oncologia spiega la professoressa Rossana Berardi, presidente di W4O Italy e Ordinario di Oncologia presso l'Università Politecnica delle Marche per rappresentare le istanze delle donne oncologhe e promuovere percorsi che portino ad eque opportunità di progressione di carriera e di leadership. Il nostro obiettivo è promuovere una cultura della salute che passi attraverso la prevenzione e l'equità di accesso alle cure per uomini e donne».


L'EREDITARIETÀ
Gli anni della pandemia hanno fatto saltare tanti screening oncologici, che vanno dunque recuperati. Molto importante è anche accendere i riflettori sui tumori eredo- familiari, quelli che celebrities come Bianca Balti o Angelina Jolie hanno reso noti al grande pubblico. Nel caso del tumore della mammella questi sono legati alle mutazioni dei geni BRCA 1 e 2. «Sarebbe dunque importante - prosegue la professoressa Berardi - offrire periodicamente consulenze di genetica oncologica gratuite, per intercettare le famiglie ad alto rischio per il tumore della mammella. Questo consentirebbe di fare una prevenzione mirata su quella quota parte di famiglie ad alto rischio». Sono tre le caratteristiche alle quali fare attenzione: un tumore in giovane età, cioè sotto i 35 anni. L'anticipazione dell'età di insorgenza del tumore nell'albero genealogico (se la nonna ha avuto il tumore a 80, la mamma a 60 e una figlia sotto i 50 anni, ad esempio). E ancora, la cosiddetta aggregazione, ovvero la presenza di più casi di tumore nella stessa famiglia.
 

Ultimo aggiornamento: 14:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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