Omicron, l'arma delle cellule T che difende dalla malattia grave (e da tutte le future varianti)

La seconda linea del sistema immunitario - quella oltre gli anticorpi - sarebbe molto efficace nel riconoscerla ed attaccarla

Giovedì 30 Dicembre 2021 di Marco Prestisimone
Omicron, l'arma dei linfociti T che difende da malattia grave (e da tutte le future varianti)

I linfociti T come arma di difesa dalla variante Omicron.

Lo racconta uno studio realizzato in Sudafrica: la seconda linea del sistema immunitario - quella oltre gli anticorpi - sarebbe molto efficace nel riconoscere ed attaccare la variante Omicron, impedendo che le infezioni evolvano verso la malattia grave. Una scoperta niente male se si considera che la resilienza della risposta delle cellule T è di buon auspicio anche nel caso in cui in futuro emergano varianti anche con più mutazioni rispetto alla Omicron. Per questo è importante continuare a correre, soprattutto con le terze dosi. 

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Ma perché il ruolo dei linfociti T è così importante? Perché mentre gli anticorpi bloccano l'infezione, le cellule T entrano e uccidono le cellule infette, impedendo al virus di crescere e diffondersi e di far degenerare il virus in malattia grave. Non possono impedirti di essere infettato, ma possono ridurre al minimo i danni che ne derivano. Grazie alle mutazioni della variante nata in Sudafrica, il virus riesce a sfuggire più facilmente agli anticorpi, che rappresentano la prima linea di difesa. I ricercatori però hanno ipotizzato una reazione anche da altri componenti della risposta immunitaria. Negli esperimenti, hanno esposto copie del virus ai linfociti T di volontari che avevano ricevuto il vaccino J&J e Pfizer e di chi invece non era vaccinato ma aveva sviluppato le cellule T dalla guarigione dopo esser stato contagiato. 

«Nonostante le mutazioni di Omicron e la ridotta suscettibilità agli anticorpi, la maggior parte della risposta delle cellule T, indotta dalla vaccinazione o dall'infezione naturale, riconosce la variante - hanno detto i ricercatori su medRxiv - È probabile che l'immunità delle cellule T contribuisca alla protezione dalla malattia grave». Una notizia che spiegherebbe come mai anche i primi pazienti con infezioni Omicron in Sudafrica non si siano ammalati gravemente.

Vaccini, vaccini, vaccini. È questa la risposta che arriva anche dagli ultimi studi. Perché se è vero che la contagiosità è decisamente più elevata rispetto al ceppo originale e alle altre varianti, lo è altrettanto che la protezione dei vaccini (e specialmente della terza dose) evita ricoveri e terapie intensive, alzando decisamente la barriera della protezione. 

 

L'analisi dei dati e l'importanza del booster

I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti da quasi 12.000 famiglie infette in Danimarca, incluse 2.225 famiglie con un'infezione da Omicron. Complessivamente, ci sono state 6.397 infezioni secondarie nella settimana dopo la prima infezione in casa. Ma guardando solo ai casi Omicron, chi aveva ricevuto anche la dose booster aveva il 56% in meno di probabilità di contrarre l'infezione rispetto alle persone vaccinate che non avevano ricevuto un richiamo. 

 

 

 

I risultati

Questi risultati dimostrano che, nonostante le estese mutazioni di Omicron e la ridotta suscettibilità agli anticorpi neutralizzanti, la maggior parte della risposta delle cellule T, indotta dalla vaccinazione o dall'infezione naturale, riconosce la variante. È probabile che l'immunità delle cellule T ben conservata a Omicron contribuisca alla protezione da un grave COVID-19, supportando le prime osservazioni cliniche dal Sudafrica.

Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 13:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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