Covid, trovati nel Dna i rischi di sviluppare la malattia: il maxi-studio mondiale su 50.000 persone

Venerdì 9 Luglio 2021
Covid, trovati nel Dna i rischi di sviluppare la malattia: il maxi-studio mondiale su 50.000 persone

Tredici regioni del Dna umano aumentano la suscettibilità al virus SarsCoV2 e il rischio di sviluppare forme gravi di malattia. Una circostanza che spiega come mai alcune persone contagiate abbiano sviluppato sintomi lievi, altre siano finite in terapia intensiva e altre ancora siano risultate asintomatiche. Emerge da un maxi-studio genetico condotto a livello mondiale, il più grande mai realizzato su Covid-19, basato sui dati di quasi 50.000 persone positive al virus e 2 milioni di soggetti sani. I risultati, fondamentali per trovare nuove terapie, sono pubblicati su Nature dalla “Covid-19 Host Genomics Initiative”, una rete globale di oltre 3.000 ricercatori di 25 Paesi creata nel marzo 2020 dall’italiano Andrea Ganna, ricercatore all’Istituto di medicina molecolare della Finlandia (Fimm) e al Broad Insitute di Cambridge, insieme al collega Mark Daly.

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L’Italia ha contribuito alla ricerca condividendo i dati di oltre 8.000 pazienti e con la partecipazione di istituzioni come l’Università di Siena, l’Irccs Humanitas e il Politecnico di Milano. «Le nostre ricerche stanno ancora andando avanti per includere un numero sempre maggiore di pazienti ed etnie, in modo da produrre risultati che possano aiutare la comunità scientifica a individuare target da colpire con lo sviluppo di nuovi farmaci o il riposizionamento di quelli già esistenti - spiega Ganna - Creare questo livello di collaborazione internazionale ci permetterà in futuro di farci trovare più pronti e preparati nell’affrontare nuove malattie». Il ricercatore spiega anche come è nata la collaborazione internazionale: «È stato sorprendentemente facile: è iniziato tutto con un tweet. Avevamo un network esistente da cui siamo partiti e che si è espanso in maniera molto veloce. Quello che oggi pubblichiamo su Nature è solo la punta dell’iceberg di quanto abbiamo prodotto in questo anno: fin dall’inizio abbiamo deciso di rendere pubblici i nostri risultati ogni tre mesi per metterli a disposizione della comunità scientifica il più rapidamente possibile».

 

In questi mesi di pandemia si è parlato molto del genoma del virus, ma dalla ricerca emerge che quello dell’ospite umano è altrettanto importante, perché può influire sulla probabilità di contrarre l’infezione e di sviluppare complicanze gravi. «In particolare - continua il ricercatore - abbiamo trovato quattro regioni del Dna che aumentano il rischio di contrarre l’infezione e nove che invece aumentano la probabilità di sviluppare forme gravi di malattia. Alcune hanno a che fare con la risposta immunitaria, ed erano già note per il loro coinvolgimento in malattie autoimmuni e infiammatorie, mentre altre riguardano la biologia del polmone e hanno a che fare con malattie come la fibrosi e il tumore».

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L’estensione a livello globale dello studio ha permesso anche di individuare fattori di rischio genetici che sono specifici delle diverse popolazioni, come quelle di origine asiatica. «Un importante passo avanti, considerato che finora la maggior parte degli studi genetici è stata condotta su persone di origine caucasica», sottolinea ancora Ganna.

Le ricerche stanno andando avanti per includere un numero sempre maggiore di pazienti ed etnie: «Dai 50.000 pazienti positivi dello studio di Nature siamo già saliti a 125.000, e le regioni del Dna sotto osservazione sono salite da 13 a 23, anche se questi ultimi dati non sono ancora stati sottoposti a peer review per la pubblicazione. Il nostro obiettivo è produrre risultati che possano aiutare a individuare target da colpire con lo sviluppo di nuovi farmaci o il riposizionamento di quelli già esistenti».

Ultimo aggiornamento: 10:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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