Lo dice il Policlinico Gemelli: cambia l'età dei malati di Covid-19 e dei ricoverati in terapia intensiva. «Da luglio abbiamo visto scendere l'età media: prima era a 60-65/80 anni, poi abbiamo visto pazienti di 40-60 anni, mentre in parallelo il report dell'Istituto superiore di sanità segnalava che i positivi avevano intorno ai 30 anni. Però, nel momento in cui un giovane si infetta ed è poco o per nulla sintomatico, diventa una fonte di contagio intrafamiliare, per nonni e genitori. Così oggi stiamo rivedendo malati di 65-70 anni o anche meno: in terapia intensiva al Gemelli abbiamo 3 pazienti di 45-55 anni e 3 over 70. Il caso più grave ha 52 anni ed è in circolazione extra-corporea». Ad affermarlo è Massimo Antonelli, direttore del dipartimento di Anestesia e Rianimazione del Policlinico Gemelli Irccs di Roma, membro del Comitato tecnico scientifico per il contenimento del coronavirus.
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«Una volta che un paziente Covid è posto in circolazione extra-corporea, la risposta richiede tempo», sottolinea il medico. E le conseguenze dell'infezione possono perdurare a lungo. «Abbiamo pazienti guariti 6 mesi fa: alcuni li abbiamo visti recuperare completamente, in altri permane una difficoltà respiratoria, problemi a gusto e olfatto e spesso una grande spossatezza.
Incremento dei ricoveri
«Stiamo registrando un incremento dei ricoveri, anche di quelli in terapia intensiva. Un fenomeno tollerabile dalle strutture sanitarie, che non ha nulla a che vedere con quanto abbiamo visto a marzo, ma che non deve essere sottovalutato», spiega il direttore del dipartimento. Secondo Antonelli il disallineamento con i dati quotidiani forniti dalla Regione Lazio - ieri fermi a 17 ricoveri in terapia intensiva, con 410 pazienti in ospedale - è «probabilmente dovuto ad un ritardo da parte delle strutture nella comunicazione dei dati». «Bisogna anche dire che la nuova organizzazione delle strutture e i letti in più assicurati a livello regionale consentono di affrontare la situazione con tranquillità. Se, per ipotesi, la situazione dovesse arrivare ad avere un impatto simile a quello di marzo-aprile - aggiunge Antonelli - dobbiamo sottolineare che oggi siamo anche più preparati: conosciamo meglio il nostro nemico e sappiamo identificare e trattare prima i pazienti con sintomi». Risultato? «I pazienti impegnativi arrivano prima in ospedale e, quando serve, arrivano prima anche in terapia intensiva: così - testimonia l'esperto - possiamo trattarli in modo precoce».
Come si trattano i pazienti
La terapia si conferma quella consolidata nei mesi bui della crisi: «Se c'è una polmonite da Covid, i pazienti possono essere ventilati, o in base alle loro condizioni intubati, pronati (messi a pancia in giù) o sottoposti a circolazione extracorporea. E la risposta richiede tempo. Se a marzo i ricoveri in terapia intensiva duravano 3-4 settimane, adesso - spiega il direttore - vediamo questi pazienti per 10-15 giorni, rispetto ai 4-5 giorni di un ricovero medio in terapia intensiva». Insomma, anche se la maggior parte dei casi Covid intercettati oggi ha nessuno o pochi sintomi, «l'intensità della malattia non è cambiata».
La prevenzione
«Ecco perché, come esperti, non ci stanchiamo di ricordare l'importanza del distanziamento, dell'uso delle mascherine soprattutto negli ambienti chiusi e dove non è possibile la distanza, dell'igiene delle mani e di evitare le aggregazioni. L'atteggiamento che abbiamo visto questa estate, con un allentamento dell'attenzione, rappresenta una reazione comprensibile ma pericolosa - avverte lo specialista - Dobbiamo sapere che queste precauzioni non dureranno per sempre, sono temporanee e si arriverà ad una fine. Ma a fare la differenza in questi mesi sarà proprio il senso di responsabilità con il quale decideremo di vivere la nostra vita. Faccio l'esempio dei matrimoni: in chiesa va tutto bene, a cena all'aperto magari anche, ma se poi si decide di festeggiare al chiuso è difficile mantenere comportamenti corretti. Privilegiamo le attività all'aperto e resistiamo per qualche mese: si arriverà ad una fine», conclude Antonelli.