Covid e monoclonali, Sileri: «Cure diverse a seconda del paziente»

Sabato 24 Aprile 2021 di Mauro Evangelisti
Covid e monoclonali, Sileri: «Cure diverse a seconda del paziente»

Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute. Come cambierà il protocollo per le cure domiciliari dei pazienti positivi a Sars-CoV-2?
«È stato consegnato dalla direzione prevenzione del Ministero della Salute tre settimane fa, presto sarà diffuso. Si tratta di un testo molto dettagliato. Elenca i soggetti a rischio, spiega i test che vanno eseguiti, definisce gli score di attenzione come la frequenza respiratoria, il livello di coscienza, la temperatura corporea sia per le fasi iniziali, sia per quelle tardive, la saturazione. Devo dire che è assai bene articolato. Le faccio un esempio: la vigile attesa, che aveva suscitato tante polemiche, qui è solo uno di tanti punti».
Cosa significa?
«Ipotizziamo un paziente positivo ma del tutto asintomatico. Il medico comunque non lo deve abbandonare, lo deve seguire, valutare l'andamento di alcuni parametri e se serve intervenire».
Cosa viene preso in considerazione?
«Oltre alla temperatura corporea, la frequenza respiratoria, il livello di coscienza, la saturazione, ci sono degli indicatori in base ai quali si decide un determinato intervento. Se siamo di fronte solo alla febbre, la risposta è quella del paracetamolo ma anche dei Fans, gli antinfiammatori non steroidei. Per altri farmaci dipende dalle condizioni del soggetto. Ad esempio, per l'eparina, bisogna prima tenere conto che vi sono pazienti che già prendono anticoagulanti; l'utilizzo dell'eparina nella profilassi degli eventi tromboembolici nel paziente con infezione respiratoria acuta è previsto solo se è ridotta la mobilità; l'utilizzo, invece, subito dopo il tampone, senza fattori di rischio, non è consigliato. Anche gli antibiotici non sono raccomandati nelle prime 72 ore. Il problema è che troppo spesso in passato sono stati dati cortisone o eparina come se tutti i pazienti fossero uguali, così sono stati spenti i sintomi ma non la malattia. E il paziente è finito in pronto soccorso in condizioni gravi».
Si parla di anticorpi monoclonali. Ne abbiamo ancora pochi a disposizione?
«No, non è così, in realtà ce ne sono tanti, ma ne stiamo usando ancora pochi rispetto alle possibilità. Mancava un percorso chiaro per la somministrazione che può avvenire anche a domicilio, se c'è un ospedale coordinatore. E il paziente deve avere determinate caratteristiche di rischio: un obeso, una persona cronicamente in dialisi o che abbia il diabete non controllato. Sono solo alcuni esempi di categorie per il quale è possibile un decorso della malattia che porta all'intubazione se non al decesso. Inoltre, per ricevere i monoclonali i pazienti non devono avere la polmonite in atto. Devono avere sintomi iniziali e quel tipo di caratteristiche».
Siamo alla vigilia di nuove aperture visto che la maggior parte delle regioni da lunedì saranno gialle. Che incognite comporta questa fase?
«La gradualità delle aperture non comporterà grandi aumenti del contagio.

O meglio: potranno esserci, ma comunque è un rischio molto basso e calcolato. La ripartenza vedrà gli under 60 tornare a spostarsi e dunque a rischiare di contagiarsi; ma la popolazione anziana, sopra i 60 anni, piano piano, sarà protetta. Già tra gli over 80 i tre quarti hanno ricevuto almeno la prima dose. Stiamo mettendo in sicurezza le persone più sensibili all'attacco del virus. Il numero dei decessi e dei ricoveri è destinato a calare, lo abbiamo visto in Israele e Gran Bretagna. Non possiamo più limitarci a guardare il numero dei contagi, ma dobbiamo soppesarli insieme a quelli dei vaccinati e dei ricoverati».

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Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 01:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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