Covid, sopravvivere al lockdown e alla Dad: il burnout delle famiglie. La psicoterapeuta

Domenica 11 Aprile 2021 di Valentina Arcovio
Covid, sopravvivere al lockdown e alla Dad: il burnout delle famiglie. La psicoterapeuta

E’ la riunione con i colleghi su Zoom mentre il piccolo di un anno urla e piange dentro il box.

E’ quella consegna di lavoro da rispettare mentre il sugo rischia di bruciare sul fuoco. E ancora: è la connessione su Internet che vacilla, mentre il figlio di 10 anni è in Dad; sono le liti con i figli adolescenti che non capiscono che in «zona rossa» non si può uscire con gli amici; è la telefonata con il capo mentre la lavatrice gira e i piatti del pranzo sono troppi e non entrano nella lavastoviglie.

Poi: compra le mascherine; disinfetta la busta della spesa; sta finendo il gel igienizzante per le mani...Sono una marea di piccoli e grandi ostacoli quotidiani, a cui si aggiunge la paura che il virus possa colpire un proprio caro, ad accendere la miccia del cosiddetto burnout genitoriale.

 
«E’ una forma di esaurimento che colpisce i genitori», spiega Moïra Mikolajczak dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, una vera e propria pioniera del burnout genitoriale. La scienziata studia il fenomeno ormai da anni, ma non ha mai avuto così tanto «materiale» sull’argomento, da quando è scoppiata questa pandemia. «Stiamo conducendo - riferisce Mikolajczak - uno studio in 20 paesi. Non ho ancora i risultati completi, ma posso dire cosa abbiamo trovato in Belgio». Sui mille genitori coinvolti è emerso che circa un terzo si sentiva esausto durante il lockdown. «Questi erano genitori che avevano figli piccoli a casa e che allo stesso tempo erano costretti a lavorare da casa», spiega Mikolajczak.


I TRE SINTOMI<QA0>
I sintomi principali del burnout genitoriale sono tre. «Il primo è l’esaurimento, che non è semplice stanchezza», sottolinea Mikolajczak. «È più di essa. Se sei esausto, soprattutto emotivamente, il problema non scomparirà con una buona notte di sonno», aggiunge. «Il secondo sintomo - continua Mikolajczak - è l’allontanamento emotivo dai tuoi figli. Ad un certo punto, conservi la poca energia che ti è rimasta per te. L’ultimo sintomo è la perdita di piacere e appagamento del tuo ruolo di genitore». Il contesto è quello familiare, ma i sintomi sono spaventosamente simili al «classico» burnout a cui oggi stanno andando incontro molti operatori sanitari, come denunciato qualche settimana fa da Consulcesi. Solo che per i genitori i sensi di colpa sono anche più pressanti e difficilmente si vede una via d’uscita. Difficile fare una stima di quanto sia ampio il fenomeno, già presente prima della pandemia, anche se a livelli contenuti. «l burnout genitoriale colpisce circa il 5% dei genitori, ma questa cifra varia enormemente da paese a paese» specifica Mikolajczak. «In molti paesi africani il burnout è pressoché inesistente, mentre in alcuni paesi occidentali, come Stati Uniti, Belgio e Polonia, la prevalenza è superiore all’8%», aggiunge. 


Più a rischio sono le donne. «E si è anche più a rischio se si ha un livello elevato di istruzione o se si è una madre o un padre casalingo», precisa Mikolajczak. «Il lavoro è un fattore protettivo, il che non sorprende perché ti dà un posto dove respirare», aggiunge. Con lo smartworking questa via d’uscita non c’è più. Tuttavia, i ricercatori hanno dimostrato che, stranamente, i fattori di rischio socio-demografici sono meno importanti di fattori personali, come la tendenza al perfezionismo e alcune rigide pratiche genitoriali. «A volte i genitori mettono troppa pressione su sé stessi», sottolinea Mikolajczak. Ci sono studi che suggeriscono che alcuni genitori si sentono anche in dovere di fingere di essere felici. «Questa pressione proviene dalla cultura genitoriale positiva che stiamo vivendo nei paesi occidentali», spiega Mikolajczak.

 
A pagare le conseguenze del burnout dei genitori sono anche i figli stessi. «L’impatto sui bambini è particolarmente preoccupante, perché abbiamo scoperto che il burnout dei genitori aumenta i comportamenti negligenti e violenti», dice Mikolajczak. «La violenza è in gran parte verbale, ma può diventare fisica. Il burnout genitoriale ti fa diventare l’opposto di ciò che eri e che miri a essere», aggiunge. Come per quasi tutte le patologie anche per il burnout genitoriale non c’è miglior terapia che la prevenzione. Gli esperti raccomandano di intervenire prima che la bomba scoppi con piccoli accorgimenti: rinunciare alla perfezione domestica, ritagliarsi piccoli momenti per sé stessi ogni giorno, chiedere aiuto, delegare. Ai genitori si raccomanda semplicemente di essere umani.

La psicoterapeuta Maura Manca: «Mamme e papà

fermatevi la perfezione non esiste. Se serve, chiedete aiuto»

«Cari mamma e papà, fermatevi! Prendete un bel respiro e siate onesti e sinceri con i vostri figli». 
Per Maura Manca, psicoterapeuta dell’età evolutiva e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, in un periodo così difficile è normale per i genitori sentirsi sopraffatti. 
Cosa sta succedendo a molti genitori? 
«Sono stanchi fisicamente e mentalmente. Sono mesi che sento genitori dire: “non ce la faccio più”. A cui molto spesso seguono frasi di questo tipo: “sono una cattiva madre”. E ancora: “in questo modo cosa insegno ai miei figli?”. Qualcuno confessa anche di prendersela con i figli per stupidaggini perché si fa fatica controllare le emozioni negative e lo stress». 
Da cosa dipende tutto questo? 
«Si chiama “stanchezza emotiva” e dipende dal carico prolungato che tanti genitori si stanno portando dentro. Un sovraccarico dovuto alla gestione a più livelli di problematiche individuali, personali, familiari, sociali e lavorative. Un carico dovuto anche al sentirsi impotenti davanti a tante situazioni: fa male veder soffrire i propri figli e di non avere i mezzi per aiutarli. Questa sensazione di impotenza grava tantissimo a livello emotivo perché attiva ancor di più i sensi di colpa che peggiorano lo stato emotivo del genitore, e il rischio è quello di avviare un circolo vizioso che alimenta solo il malessere». 
Di cosa hanno bisogno questi genitori in burnout? 
«Hanno bisogno di una tregua. È la frase che forse sento più di frequente: alcuni vorrebbero mollare tutto e scappare lontano, pur sapendo che questa strategia non risolverebbe il problema, ma istintivamente la mente si allontana perché avverte il bisogno di fuggire. Sono reazioni umane. Quando si sta male scatta anche un po’ di puro egoismo e questo ci fa sentire ancora più in colpa. Siamo abituati ad arrivare al limite, al ‘chi si ferma è perduto’, al sacrificio che spesso diventa autodistruzione. Tutto questo però non fa bene né i genitori né ai figli». 
E allora che fare? 
«Non è vero che chi si ferma e perduto, a volte chi si ferma ha solo bisogno di un attimo di pace. Quando la mente è in uno stato di esaurimento ha bisogno di due cose principalmente: un aiuto esterno e uno stop, per riorganizzare le idee e ripartire. Dobbiamo toglierci dalla testa l’idea che i figli abbiano bisogno di genitori perfetti, che non sbagliano mai. I figli hanno bisogno di umanità e di genitori che riescono a rivelare il loro malessere». 
Ma un genitore può farsi vedere fragile dai suoi figli?
«Perché no? Basta non gravare emotivamente sui bambini, cioè basta non spostare il problema su di loro. Per il resto la consapevolezza è importante. Anzi, a volte, quando i bambini capiscono che c’è un problema, perché i figli capiscono tutto, e il genitore non è chiaro o tenta di nasconderglielo, si allarmano ancora di più, tendono a pensare in negativo che ci sia qualcosa che non vedono e non riescono a controllare. Sapere, invece, li tranquillizza in un certo senso. Bisogna solo trovare le parole giuste in funzione dell’età. I figli non devono fare da genitore al genitore e prendersi quindi carico dell’adulto a livello emotivo, ma devono capire che possono essere d’aiuto». 
Qual è il messaggio che bisognerebbe trasmettere ai propri figli? 
«Sicuramente il messaggio principale è che la famiglia è fondamentalmente una squadra, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà. E i membri di una squadra si aiutano a vicenda. Non ci si può prendere carico emotivo di tutto, perché tanto alla fine di questa giostra non si vince niente. Bisogna trovare un nuovo equilibrio e accettare anche i momenti di debolezza, che poi chiamiamo erroneamente in questo modo, perché si tratta semplicemente di momenti di umanità».

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