Calano i trapianti e si riscrivono le regole: dall'anonimato alla app per incentivare le donazioni

Giovedì 14 Ottobre 2021 di Maria Pirro
Getty Images

Il cuore batte forte. Sua figlia è tornata a vivere grazie a un trapianto.

E il papà, un avvocato napoletano, ha forzato la legge per scoprire l’identità del donatore e incontrare i familiari che hanno dato l’assenso al prelievo degli organi, rendendo possibile l’atteso intervento chirurgico. «Ho fatto di tutto per rintracciarli, anche se dovrebbero restare anonimi. Ora siamo come fratelli», si commuove nel raccontarlo Giuseppe Campagnuolo. Una storia diventata un docufilm di Antonella D’Agostino. «Superata l’emergenza Covid, è prevista la proiezione nelle scuole», annuncia il legale, che ha sostenuto i costi della produzione, spinto dal desiderio di contribuire alla campagna di sensibilizzazione sui trapianti.

I NODI

Tanti, troppi italiani continuano a opporsi alla donazione degli organi. I “no” si attestano intorno al 30 per cento, ma sono anche di più nelle regioni del Sud: oltre il 40 in Campania, Sicilia, Basilicata e Calabria. Così come sono numerosi i trapiantati e i familiari dei donatori dai destini incrociati, che tentano di mettersi in contatto tra loro, in forma privata o tappezzando di manifesti e striscioni le città, come è accaduto a Livorno qualche tempo fa. Adesso più di ieri è facile recuperare informazioni, trovare una traccia sui siti web e sui social network. Tant’è che a stretto giro è programmata una audizione in Parlamento per valutare se e come consentire gli incontri, disciplinandoli, come negli Stati Uniti. Alla Camera è depositata una proposta di legge su iniziativa di Fabiola Bologna (ex M5s, ora CoraggioItalia). E la svolta è sollecitata da una petizione su change.org firmata da oltre 50mila cittadini e promossa da Marco Galbiati, il padre di un ragazzino di 15 anni colpito da un arresto cardiaco su una pista da sci. Nel nome del figlio, il genitore è coautore del libro Il tuo cuore la mia stella edito da Mondadori e porta avanti la mobilitazione. «Credo che finalmente ci siamo», sussurra in merito alla revisione delle regole che a medici e infermieri impongono di non fornire indicazioni. Interpellato nel 2018, il Comitato nazionale di bioetica ha definito l’anonimato un «requisito indispensabile» nella fase iniziale e se manca l’intesa fra le parti. «Dopo un ragionevole lasso di tempo», la relazione «non è contraria ai principi etici». Ma «contatti e incontri devono essere mediati da centri sanitari o da terzi indicati legislativamente» e «la conoscenza dell’identità dei donatori» non va «pretesa»: resta «una possibilità giustificata a determinate condizioni». Il motivo è chiaro: «Il malato ha diritto alle cure e non deve sentirsi condizionato», riassume Ugo Boggi, presidente della Società dei trapianti d’organo e tessuti riunita il 3 e 4 ottobre a Napoli. Ed è stata l’occasione innanzitutto per fare il punto sulle conseguenze dell’emergenza Covid, che ha portato a un calo degli interventi: 3.441 nel 2020, il 10 per cento in meno dell’anno precedente.

LA STRATEGIA

«C’è una ripresa nel 2021, ma bisogna fare di più», certifica il direttore del Centro nazionale trapianti, Massimo Cardillo, che anticipa: «Il ministro della Salute, Roberto Speranza, mi ha dato mandato di istituire un tavolo tecnico per rivedere e aggiornare tutta la normativa, che risale al 1999». Non solo le regole sull’anonimato. «Può essere utile, ad esempio, una app per raccogliere le adesioni, e vanno riorganizzati i centri negli ospedali chiamati a segnalare possibili donatori». Per individuarne un numero maggiore, l’età media è sempre più alta, over 50, e anche una donna quasi centenaria, di 97 anni, è nell’elenco: ha reso possibile un trapianto di fegato. «Comunque non basta», insiste Cardillo. Solo i pazienti nefropatici, che si sottopongono alla dialisi, in attesa di un rene nuovo, sono oltre seimila in Italia. «Occorrerebbe provvedere almeno a 2.500-2.000 trapianti all’anno», stima il professionista, spiegando che se ne realizzano neanche 2.000. Di qui la scelta di incrementare gli interventi con le donazioni da vivente, ferme a 276 in 12 mesi. «Eppure, si tratta della migliore opzione terapeutica nei casi di insufficienza renale terminale», spiega Cardillo, a sostegno dell’accordo appena siglato tra Stato e Regioni che istituisce negli ambulatori percorsi di informazione, selezione e valutazione delle coppie candidate all’operazione. «La tecnologia consente di eseguire interventi meno invasivi e più precisi, in questi casi utilizzando anche il Robot da Vinci», afferma Boggi, professore ordinario di Chirurgia generale all’Università di Pisa che vanta diversi record in materia.

IL CASO

Al Bambino Gesù il fegato di un donatore, mantenuto in salute grazie a una macchina di perfusione extracorporea, è stato diviso con la tecnica “split liver” e dato a due pazienti. Un caso, primo al mondo riportato nella letteratura scientifica, possibile perché strumenti hi-tech oggi consentono di migliorare la conservazione e di rivitalizzare gli organi presi da cadavere, riducendo il danno cellulare. Non solo: apparecchiature più avanzate nel prossimo futuro potrebbero permettere di effettuare delle “modifiche” dal punto di vista immunologico, riducendo il temuto rischio di rigetto. In più, ci sono gli organi artificiali allo studio o già in uso, come il “berlin heart” che permette di aspettare più a lungo il trapianto in situazioni disperate. «È servito alla mia bambina», interviene Campagnuolo, protagonista di quelle notti insonni in corsia, fino all’ultima, quando un cuore ha unito due famiglie. E l’ospedale è diventato un set.

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Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 16:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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