Bambini iperattivi? Ma la sindrome "continua" anche negli adulti. Dall'esposizione al fumo di sigaretta fino alle implicazioni del Covid

Sabato 17 Aprile 2021 di Stefania Piras
Bambini iperattivi? Ma la sindrome colpisce anche gli adulti. Ecco perché

Quelli iperattivi, di solito sono i bambini. Sono in tutto il 2% in Italia e sono soprattutto maschi. Ma la sindrome di deficit di attenzione e iperattività colpisce anche gli adulti e gli adolescenti. Oltre due terzi degli adolescenti, a cui è stato diagnosticato questo disturbo in età infantile, continua a presentare i sintomi anche in età adulta con conseguenze nella vita famigliare, di coppia e lavorativa. 

Nello studio presentato dall'Istituto Mario Negri, che nel 2007 è stato coinvolto nella stesura del registro italiano per persone affette da ADHD in trattamento farmacologico, è stato condotto da Antonio Clavenna (Capo Laboratorio di Farmacoepidemiologia del Dipartimento di Salute Pubblica), Francesca Scarpellini (Laboratorio Salute Materno Infantile del Dipartimento di Salute Pubblica) e Maurizio Bonati (Capo Laboratorio Salute Materno Infantile e Capo Dipartimento di Salute Pubblica) si spiega che l’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, in italiano Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) è un disturbo del neurosviluppo ed è riconoscibile perché ha sintomi ben definiti e continui.

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Quali sono i sintomi?

 La difficoltà di prestare attenzione e mantenere la concentrazione; comportamenti impulsivi; irrequietezza fisica.

Quali fattori influenzano questo disturbo?

I ricercatori rispondono che l'iperattività è significativamente influenzata da alcuni ambiti della vita quotidiana, come la scuola e le amicizie.

Quali sono le cause dell’ADHD?‍

Le cause dell’ADHD possono essere di natura: genetica, neurobiologica e ambientale.

Ecco cosa dicono i ricercatori del Mario Negri. 

«Studi di genetica che hanno coinvolti i bambini hanno mostrato l’esistenza di un’associazione tra l’ADHD e alcuni geni. Ad esempio, un’alterazione nel gene responsabile della produzione di un neurotrasmettitore (dopamina) potrebbe essere una delle cause di questo disturbo: la dopamina è quella sostanza che veicola le informazioni fra i neuroni e, quindi, è alla base di molti processi cognitivi, come ad esempio attenzione e memoria.

Nonostante non vi siano ancora evidenze scientifiche consistenti, la maggior parte dei farmaci utilizzati per curare l’ADHD, infatti, aumenta l’efficacia dell’attività della dopamina nella comunicazione tra neuroni, aiutando così il paziente a prestare maggiore attenzione.

Ulteriori studi hanno dimostrato anche la familiarità del disturbo: un bambino affetto da ADHD ha 4 volte più probabilità di avere un parente con la stessa malattia; così come un terzo dei padri che soffrono di ADHD ha un figlio con lo stesso disturbo.

Esistono poi alcuni fattori ambientali che sono associati all’ADHD, in particolare fattori di rischio prenatali, come:

  • esposizione prolungata a fumo di sigaretta;
  • assunzione di alcool o droga in gravidanza;
  • ipertensione;
  • stress;
  • complicanze durante il parto;
  • nascita pretermine;
  • basso peso alla nascita.

Tali fattori non causano in maniera diretta questo disturbo ma possono favorire la comparsa di alterazioni nei geni, che portano poi all’insorgenza dell’ADHD.

Le cause di natura neurobiologica che possono causare la comparsa dell’ADHD sono difetti nella struttura e nel funzionamento della parte frontale del cervello, responsabile di processi cognitivi primari come la pianificazione e l’organizzazione dei comportamenti, l’attenzione e il controllo inibitorio. I deficit strutturali possono poi interessare anche la regione cerebrale che regola le emozioni (limbo) e una parte del sistema nervoso che regola la comunicazione all’interno del cervello (gangli). Tutte queste regioni cerebrali sono interconnesse tra di loro e, quindi, un deficit anche in una sola di esse potrebbe originare il disturbo».

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Come viene effettuata la diagnosi di ADHD?

A diagnosticare questo disturbo è un medico, è il neuropsichiatra infantile. Per capire se un bambino soffre di ADHD il medico esegue: colloqui riguardanti la storia clinica del paziente; esami neurologici volti a valutare lo stato mentale del paziente, come anche il suo sistema motorio, la sua forza muscolare, la sua coordinazione e i suoi riflessi; valutazione delle abilità cognitive, e cioè di tutti quei processi attraverso i quali una persona percepisce, registra, mantiene, recupera, manipola, usa ed esprime informazioni per qualsiasi compito che affrontiamo ogni giorno; colloqui volti a valutare i disturbi mentali e le patologie connesse, riguardo ad ansia, umore e alimentazione; questionari relativi al comportamento del bambino, compilati dai genitori e dall’insegnante;
questionari circa una valutazione globale della gravità del disturbo compilato dal neuropsichiatra.

Le visite di follow-up, per seguire gli sviluppi eventuali del disturbo, devono essere effettuate ogni 6 mesi, scrivono i ricercatori. 

A quali altri disturbi si associa l’ADHD?

Molti spesso il disturbo del deficit di attenzione e iperattività va in tandem con altre patologie. I ricercatori del Mario Negri scrivono che «il 72% dei bambini con ADHD presenta altre patologie psichiatriche tra cui disturbi dello spettro autistico (ASD, autism spectrum disorders), dislessia (difficoltà nella lettura) e disturbo oppositivo provocatorio (problemi di autocontrollo, rabbia e irritazione)».

Quali sono i rischi di una mancata diagnosi in età pediatrica?

«La presenza di più patologie, o comorbilità, rende difficile la diagnosi di ADHD, contribuendo al suo mancato riconoscimento tempestivo. Il disturbo, quindi, non riuscirà ad essere trattato in età pediatrica, ripresentandosi anche in età adulta», scrivono gli studiosi che aggiungono: «A complicare la diagnosi di ADHD è poi la presenza di sintomi comuni ad altre patologie che portano ad escludere il disturbo dell’attenzione e dell’iperattività oppure a considerarlo secondario. Crescendo, gli stimoli ambientali aumentano e questo fa sì che il ragazzo affetto da ADHD ha difficoltà ad organizzarsi, manifestando quindi ansia, depressione e disturbi del sonno. L’isolamento, l’aggressività e la rabbia sono alcune delle conseguenze di questo disturbo, a cui si può rimediare una volta cresciuti utilizzando alcuni farmaci che tengono sotto controllo i sintomi».

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Quali sono i trattamenti per curare l’ADHD?

I trattamenti per l’ADHD si dividono in farmacologici e non-farmacologici. Questa la premessa degli studiosi. I trattamenti farmacologici sono utilizzati per curare i casi più difficili: il farmaco prescritto (solitamente metilfenidato o atomoxetina) agisce direttamente sulla funzionalità del cervello, che nel caso di un bambino è ancora in via di sviluppo.

Dopo un’approfondita indagine sulla storia clinica e medica del paziente, il medico specializzato in neuropsichiatria infantile avrà il compito di capire:

quando è necessario prescrivere il farmaco;
se il paziente presenta anche altri disturbi (comorbilità);
qual è la compromissione della vita quotidiana attribuibile al disturbo.

I trattamenti non farmacologici, invece, prediligono un approccio multimodale, che coinvolge i genitori (parent training), i bambini (child training) e gli insegnanti (teacher training). Le terapie digitali sono spesso utilizzate per curare questo disturbo: Endeavor, ad esempio, è il primo videogioco sviluppato a scopo terapeutico per bambini affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

EndeavorRx è stato approvato da Fda e da un anno ha ottenuto anche il marchio europeo CE. È disegnato sulla tecnologia Akili Selective Stimulus Management Engine (SSMETM), che attiva in modo mirato specifici sistemi neurali nel cervello. 

I numeri

Il registro lombardo dell'ADHD, al 28 Febbraio 2021 ha inserito 6.157 pazienti di cui 4.068 con diagnosi accertata, 1.833 a cui non è stato riscontrato l’ADHD e 256 ancora in corso di valutazione. La maggior parte delle segnalazioni ai Centri di Riferimento è arrivata dalla scuola (31%) e poi dai genitori (16%).

Dei 4.068 pazienti a cui è stato diagnosticato l’ADHD, la maggior parte (82%) riceve solo una terapia psicologica, mentre al 18% è stato prescritto anche un farmaco, quasi sempre come trattamento combinato con gli interventi di tipo comportamentale.

Le comorbilità più frequentemente riscontrate sono state: i disturbi dell’apprendimento (39%), il disturbo oppositivo/provocatorio (15%) e i disturbi del sonno (14%).

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Come cambia il disturbo con il Covid-19

I ricercatori hannpo studiato anche le implicazioni del disturbo con la pandemia Covid e i dati emersi non sono rassicuranti: i bambini affetti da questa patologia non sono ancora seguiti in modo adeguato.  La sensibilità on questo senso è ancota bassa. «In questo particolare periodo storico caratterizzato dalla pandemia Covid-19 - scrivono - i ricercatori hanno voluto valutare l’esperienza dei bambini affetti da ADHD con la didattica a distanza (DaD). In collaborazione con l’UONPIA dell’ASST Santi Paolo e Carlo sono state intervistate le mamme dei bambini, seguiti dal polo specialistico. Successivamente è stato condotto uno studio in cui un gruppo di bambini affetti da ADHD è stato confrontato ad un gruppo di bambini che non sono affetti dal disturbo. I dati emersi purtroppo non sono rassicuranti: è ancora poca l’attenzione dedicata a certe situazioni di fragilità, anche in ambienti in cui tale attenzione dovrebbe essere scontata, come quello scolastico. I risultati di questi studi suggeriscono che c’è ancora molto lavoro da fare per aumentare la conoscenza e la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti di ragazzi affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività: solo in questo modo si potrà rispondere ai bisogni dei bambini e delle loro famiglie in maniera più completa».

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Ultimo aggiornamento: 18:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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