Variante indiana, pericolosità e resistenza ai vaccini: tutto quello che sanno gli scienziati

Martedì 27 Aprile 2021 di Claudia Guasco
Variante indiana, pericolosità e resistenza ai vaccini: tutto quello che sanno gli scienziati

Insidiosa e potenzialmente più contagiosa. Dopo le varianti inglese, brasiliana, sudafricana e giapponese arriva la variante indiana.

Di cui si sa ancora molto poco e per questo suscita diffusi timori, soprattutto in merito alla sua capacità di resistere ai vaccini. Questo nuova tipologia ha una particolarità: contiene in sé due mutazioni già note, E484Q e L452R, che per la prima volta compaiono insieme. La prima mutazione - già vista nella californiana, assai contagiosa - potrebbe aumentarne la trasmissibilità e la seconda indebolire l’effetto della profilassi. I dati diffusi da Israele dicono che il vaccino di Pfizer è parzialmente efficace contro la B.1.617, codice di classificazione della variante ormai dominante in India ma con diffusione limitata nel resto del pianeta: alcune migliaia di casi nel mondo, qualche centinaio in Europa e due in Italia. Ma non per questo va sottovalutata. Per Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia dell’Università di Padova, serve una nuova strategia per il sequenziamento del virus SarsCoV2 in circolazione in Italia per poter individuare le varianti e avere una mappa completa di quelle presenti nel Paese.

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MAPPATURA E CONTROLLI

I primi due contagiati da B.1.617 si trovano in Veneto, nel vicentino. Il 7 aprile padre e figlia sono rientrati dall’India, dove hanno partecipato al pellegrinaggio di Kumbh Mela immergendosi nel Gange come vuole la tradizione induista, sono atterrati all’aeroporto di Bergamo e da lì hanno preso un taxi per tornare a casa. «Poi diligentemente hanno segnalato i sintomi al sito dell’Ulss 7 chiedendo di fare il tampone - racconta Ruggero Gonzo, sindaco di Vollaverna - Lo hanno fatto il 14 aprile: il padre e la figlia sono stati trovati positivi alla variante indiana mentre per la madre, asintomatica, si stanno ultimando gli accertamenti. Stanno tutti bene». Quanto ai tamponi finora eseguiti nella comunità Sikh della provincia di Latina, «sono tutti negativi alla variante indiana», afferma il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia. «Stiamo continuando nella sorveglianza attiva e con gli esami dei tamponi, ma al momento zero casi variante indiana», puntualizza. La comunità è numerosa nel nostro Paese, cosa occorre fare per evitare che possano diffondersi focolai locali o d’importazione? «Chi è stato in India recentemente o ha avuto contatti stretti con persone tornate nelle ultime due, tre settimane, in caso di sintomi occorre che si sottoponga a un tampone e invii segnalazione alle Asl o al medico di famiglia», indica Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. In ogni caso, consiglia Vaia, «non bisogna terrorizzare e rincorrere le varianti facendo preoccupare l’opinione pubblica. Il virus muta continuamente, quindi noi dobbiamo isolare le mutazioni, studiarle e adattare gli strumenti che abbiamo, i vaccini e le terapie innovative per contrastarle».

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EFFICACIA DEI VACCINI

In questo momento infatti «non ci sono dati» che supportino la possibilità che la variante indiana possa resistere ai vaccini, dunque «andrei molto cauto e non creerei allarmismi», consiglia il presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli, sottolineando comunque ci sono «alcuni aspetti, per esempio quello relativo al potere contagiante, che vanno chiariti». Come rileva il virologo dell’Università Statale di Milano Fabrizio Pregliasco, la variante indiana «di sicuro ci piace poco perché ha due mutazioni nella proteina Spike, che rendono più facile l’inserimento all’interno dell’organismo». Dunque «da un lato bisognerà capire se e quanto è più contagiosa rispetto al virus originale, come sembra, e poi servirà chiarire se sfugge ai vaccini». Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, concorda sul fatto che, per poter fare affermazioni più precise sulla B.1.617, bisogna attendere ulteriori dati scientifici. «Abbiamo solo informazioni frammentarie, non complete per poter dire se abbia maggiore trasmissibilità rispetto alle altre già studiate o se provochi malattia più grave. In base a quanto abbiamo osservato finora con le altre varianti, da quella inglese a quelle sudafricana e brasiliana, e agli studi fatti in Israele e Gran Bretagna, possiamo dire che l’efficacia dei vaccini non viene assolutamente abolita», rassicura. Per ora ci sono due varianti indiane, la B1617 e la B1618, che circolano in due zone diverse dell’India, spiega Cauda. La prima ha due mutazioni nella proteina Spike, di cui una uguale nella variante brasiliana e in quella sudafricana.

La B1618 ha due mutazioni, più una già nota agli scienziati, e «dai numeri che arrivano dal subcontinente indiano, sembra che la contagiosità sia molto alta». Tanto più il virus non viene bloccato dalle vaccinazioni, tanto più emergono nuove varianti. «Il rischio è che insorgendo possano eludere la validità dei vaccini ed è per questo motivo che la risposta alla pandemia deve essere globale e non soltanto locale, ristretta a un Paese o a un continente, poiché il rischio di importazione c’è sempre. Bisogna avere attenzione ad un approccio globale e i vaccini devono essere disponibili per tutti», rimarca il direttore del Gemelli. «Finora abbiamo visto dagli studi internazionali che, anche se la persona vaccinata si reinfetta, è protetta dal rischio di morte, dalla possibilità di sviluppare la malattia grave e risulta bassamente contagiosa». Ciò che bisogna fare, conclude, è «mantenere un elevato livello di misure di prevenzione, vaccinare il più possibile e più velocemente possibile e continuare a sequenziare il virus».

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Ultimo aggiornamento: 16:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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