«L’Italia può prodursi i vaccini in casa». Draghi tratta con la Ue sugli stabilimenti

Mercoledì 17 Febbraio 2021 di Francesco Malfetano e Valentina Arcovio
«L Italia può prodursi i vaccini in casa». Draghi tratta con la Ue sugli stabilimenti

Moderna in ritardo nelle consegne. AstraZeneca in fase di rivalutazione da parte dell'Aifa e Johnson&Johnson finalmente in attesa del via libera europeo. Il fronte vaccini in pratica, a differenza della campagna di somministrazione italiana che continua a procedere a rilento in moltissime Regioni, è in gran fermento. E lo è anche l'attività del nuovo governo che, di concerto con Bruxelles, sta lavorando seriamente alla possibilità di portare la produzione dei vaccini nella Penisola.

L'indiscrezione risale a qualche giorno fa, quando la Commissione Ue, su impulso italiano, ha intavolato il discorso con le aziende farmaceutiche e chiesto ai Paesi di individuare i possibili siti produttivi in cui subappaltare la produzione.

L'Italia, che ha un settore farmaceutico secondo solo alla Germania in termini di fatturato, è molto interessata. E tra le prime mosse della squadra del nuovo premier ci sarà proprio questa. D'altronde competenze e stabilimenti all'altezza ci sarebbero (dallo stabilimento Catalent di Anagni, fino a quello Fidia di Abano Terme, in provincia di Padova), bisognerà solo adeguarli e metterli a regime. Obiettivi che Draghi sembrerebbe voler perseguire.

Andiamo però con ordine. Ieri il colosso farmaceutico americano Johnson&Johnson ha chiesto all'Ema, l'ente europeo di regolamentazione farmaceutica, l'approvazione per il suo vaccino anti-Covid. Il parere è atteso per metà marzo e, in caso di valutazione positiva, porrà un'altra importante freccia nella faretra dell'Italia e dei Paesi Ue, accanto a quelle di Pfizer-BionTech, Moderna e AstraZeneca. La cura di J&J si differenzia però dalle prime due perché sfrutta l'Adenovirus (e non l'mRna) e da AstraZeneca perché - in base alle dichiarazioni dell'azienda - non solo è stato testato su tutte le fasce di età al di sopra dei 18 anni quanto ha superato una fase di test in Sudafrica, quando le varianti erano già un problema. Inoltre, fattore decisivo, il vaccino è monodose e non necessita di particolari accortezze in fase di conservazione. Ovvero consentirà con maggiore facilità l'impiego dei medici di famiglia nella campagna vaccinale. Per questo le circa 7 milioni e mezzo di dosi attese in Italia nel secondo trimestre possono far ben sperare per un'accelerazione.

 

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Il ritardo

 

Prima di pensare all'immediato futuro però, l'emergenza impone di mettere al sicuro il presente. E al momento le cose, da quel punto di vista, non vanno poi così tanto bene. In attesa del discorso con cui Draghi oggi chiederà la fiducia al Senato e formalizzerà alcune delle indicazioni sull'accelerazione del piano vaccinale accennate durante le consultazioni, c'è da registrare l'ennesimo ritardo nelle consegne dei vaccini. Stavolta a tardare è Moderna. Come annunciato in conferenza stampa da una portavoce della Commissione Ue, la bio-tech americana, senza fornire particolari motivazioni, ha fatto sapere che non riuscirà a rispettare il calendario di febbraio, garantendo però che «le consegne saranno recuperate a marzo». Il ritardo è minimo (le dosi attese nel primo trimestre dall'azienda Usa sono appena un milione e trecentomila) ma rallenta ulteriormente la campagna di vaccinazione italiana. Campagna che però, già dai prossimi giorni, potrebbe beneficiare di un'importante novità: il vaccino di AstraZeneca è infatti in attesa di un nuovo via libera da parte dell'Aifa e, a breve, potrebbe essere somministrato anche agli over 55. Ieri, nel corso di una riunione a cui hanno partecipato rappresentanti del ministero della Salute, Aifa e regioni, è arrivato un primo ok alla somministrazione del vaccino anche a coloro che hanno più di 55 anni. La decisione finale arriverà però solo dopo una ulteriore riunione della Commissione tecnico scientifica dell'Agenzia italiana del Farmaco.

 

Le Regioni

 

Mentre il virus e le sue varianti non fermano la loro corsa, le vaccinazioni viaggiano lentamente. In alcune regioni troppo lentamente. Secondo l'ultimo report (aggiornato a ieri alle 9) di Vaccini360, un osservatorio curato dalla società Igor, basato su una rielaborazione dei dati ufficiali, il 2,14% della popolazione (1.289.059 persone) ha completato il ciclo di vaccinazione con la seconda dose. Ma ci sono evidenti differenze regionali: si va dall'1,44% della Calabria al 4,24% della Provincia autonoma di Bolzano. Percentuali più elevate si registrano con il 3,10% della Valle d'Aosta, in Piemonte con il 3,01% e in Emilia Romagna con il 2,84%. Nel Lazio la percentuale è pari all'1,96% (115.068 persone). Oltre alla Calabria, in fondo alla classifica delle vaccinazioni anti-Covid c'è l'Abruzzo con l'1,51%, l'Umbria con l'1,54% e la Sardegna con l'1,57%.
Il dato però, per quanto significativo perché in grado di testimoniare la lentezza assoluta della campagna vaccinale, non fotografa lo stato di avanzamento delle cose. Tant'è che la mappa del Paese cambia completamente se invece si considerano le vaccinazioni effettuate sugli over 80. Vale a dire il vero banco di prova per le regioni in questo momento, ancor più dei sanitari che sono considerati facili da vaccinare perché presenti nelle strutture ospedaliere e consapevoli dell'iter da seguire. A guardare questi i numeri sugli ottantenni quindi, le più virtuose sono Lazio (38.500 over 80 vaccinati), Campania (22.433) e provincia autonoma di Bolzano (13.845). Quasi tutto il resto del Paese (eccezioni sono Emilia Romagna, Lombardia e Trento) arranca. Con il punto più basso toccato da Calabria, Molise e Marche ferme a zero.



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Ultimo aggiornamento: 07:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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