Virus, il professore di Harvard: «Usa avanti con il vaccino, ma a noi lo daranno tardi»

Domenica 10 Maggio 2020 di Mauro Evangelisti
Virus, il professore di Harvard: «Usa avanti con il vaccino, ma a noi lo daranno tardi»

Se avremo un vaccino, inizialmente non ci sarà per tutti, gli Usa hanno finanziato con 450 milioni di dollari l'azienda Moderna, tra le più avanti con la sperimentazione, questo significa che l'Italia rischierebbe di dovere aspettare tre anni. Discorso diverso per gli anticorpi bloccanti, farmaco risolutivo, che potrebbe essere distribuito già entro la fine di quest'anno. Pier Paolo Pandolfi è professore di Biotecnologia e Biologia del cancro alle Università di Harvard e Torino. Insieme al professor Giuseppe Novelli, dell'Università di Tor Vergata, sta lavorando a un progetto di sperimentazione per anticorpi monoclonali contro Covid-19 di cui si è parlato, l'altro giorno, in un webinar organizzato da Edra e moderato dall'ex ministro Beatrice Lorenzin.
Lei da Boston mette in guardia sulle insidie per l'Italia di questa corsa verso il vaccino. Perché da noi potrebbe arrivare tardi?
«Facciamo l'esempio del vaccino influenzale: ogni anno si devono produrre centinaia di migliaia di dosi e nel mondo ci sono pochi centri. Si parla di 200 milioni di dosi perché va solo alla popolazione a rischio. Immaginiamo cosa succederà con il vaccino per il coronavirus destinato a tutti: si dovrebbe distribuire su scala globale, ma la produzione diventerebbe uno dei problemi più seri. Il vaccino poi non è stabile, continuamente muta, dovremo fare un vaccino semestrale o annuale e questo richiederà uno sforzo mostruoso».
Alternative più rapide?
«Molti gruppi che stanno lavorando sull'anticorpo bloccante. E daremo questo farmaco solo ai pazienti con una sintomatologia avanzata come lo sviluppo della polmonite».
Si troverà un vaccino?
«Tutto il movimento sta spingendo dalla stessa parte: si troverà un vaccino, perché questo virus è molto immunogenico, viene visto molto bene dal sistema immunitario. Ad esempio il vaccino che sta sperimentando la società americana Moderna probabilmente funzionerà. Ma ci vorranno anni produrne in vasta scala. Se il virus muta, servirebbe comunque aggiustare il vaccino, come succede per quello dell'influenza, che viene cambiato ogni 2 o 3 anni. Non a caso è quadrivalente, va contro 4 diversi ceppi e probabilmente faremo così anche per il coronavirus. Anche negli Stati Uniti si è notato che tra costa Est e costa Ovest il virus è mutato, ci sono già vari ceppi. L'anticorpo bloccante viene prodotto in tempi molto più brevi e si può adattare al tipo di virus. Nel giro di settimane».
Il virus si sta indebolendo?
«I dati sono troppo limitati. Forse ora è meno infettivo. Dovrebbe avere meno capacità di resistere sulle superfici. E se scema l'infettività, diminuisce l'impatto sul sistema sanitario».
Potremo avere gli anticorpi bloccanti già per l'autunno?
«Direi di sì, saremo in fase clinica. Avremo tempi molto più brevi rispetto al vaccino. Ipotizziamo che il vaccino vada sul mercato nell'estate del 2021, ma se il virus non si attenua ci saranno moltissime persone fino ad allora che andranno a soffrirne. Se invece entriamo in fase di produzione dell'anticorpo bloccante, la distribuzione inizierà entro la fine dell'anno. Diventerà fondamentale produrlo per il proprio paese. Vedo difficile che a livello europeo ci possa essere un centro comune. Questo progetto nasce in Canada, da un gruppo molto esperto, è un consorzio internazionale, con l'Italia (sperando che lo supporti) e l'India. La mia speranza e del professor Novelli è che venga portato in Italia per la sperimentazione clinica e la produzione quanto prima. Sarà complementare al vaccino, che comunque sarà molto utile per evitare che l'epidemia continui a cuocere. Ma il farmaco è fondamentale. Questa sconvolgente pandemia spingerà il mondo a realizzare anticorpi bloccanti per l'influenza ma anche per altre malattie che fanno molti morti, come la dengue. E anche per il prossimo corona, perché il rischio che vi sia un continuo attacco di pandemie c'è».
Oltre a quello di Moderna, ci sono altri vaccini promettenti come quello di Oxford, a cui partecipa un'azienda italiana, e quello la cui sperimentazione inizierà a giugno allo Spallanzani.
«Questa competizione, sia per i vaccini, sia per gli anticorpi bloccanti, è virtuosa. Se io fossi il governo italiano inizierei a negoziare sull'approvvigionamento di alcune centinaia di migliaia, se non milioni di dosi. Magari con più di una casa farmaceutica».
Quando ci sarà un vaccino - se ci sarà - avremo tensioni sociali e internazionali perché i più ricchi, sia singoli cittadini, sia singole nazioni, saranno privilegiati?
«Il pericolo c'è. Le nazioni che hanno un Pil più alto avranno la possibilità di fare offerte più elevate alle industrie farmaceutiche. Ci sarà un problema non solo di accaparramento e produzione, ma anche di prezzi delle dosi. Spero che si comprenda una cosa: è ovviamente giusto lasciare margine a un equo profitto, ma c'è un obbligo sociale e morale perché il vaccino sia diffuso a più persone possibili. Il caso di Moderna: gli Usa hanno mostrato di essere in grado di acquistarsi, di fatto, l'intera produzione. Gli altri Paesi così rimangono tagliati fuori. E in questi Paesi, Italia compresa, il vaccino arriverebbe tardi».
 

Ultimo aggiornamento: 15:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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