Vaccino, frenata ingiustificata nel Lazio. I medici: «Da noi niente prenotazioni»

Giovedì 25 Febbraio 2021 di Lorenzo De Cicco
Vaccino, frenata ingiustificata nel Lazio. I medici: «Da noi niente prenotazioni»

«Perché non farò i vaccini anti-Covid? Eh... sono stanco, non mi sento neanche benissimo ultimamente. Già mi hanno fatto passare i guai con l’antinfluenzale. Si rivolga alla Asl». Parola di Luigi Probbo, medico di base nel popoloso quartiere dell’Appio Tuscolano, quadrante Sud Est della Capitale. È uno dei tanti, tantissimi dottori di famiglia del Lazio che tentano di schivare un’incombenza che la Regione, al contrario, ritiene obbligatoria oltre che doverosa: iniettare il siero anti-virus ai mutuati. Operazione che in teoria negli ambulatori di base dovrebbe partire tra meno di quattro giorni, lunedì, con le fiale di AstraZeneca, destinate agli under 65.

Per distribuirle ai pazienti di Roma e delle province la Pisana ha optato per il modello isreaeliano: si procede per classi d’età. Prima i 65enni, poi a scalare i 64enni e così via. Due terzi dei camici bianchi, però, secondo i calcoli dell’Ordine dei medici, non saranno della partita. Almeno per il momento: tra chi non ha aderito al bando e chi traccheggia, a poche ore dal via riuscire a trovare uno studio disponibile a prenotare la vaccinazione è un’impresa.

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LE SCORTE
«Con pochissime fiale a settimana, molti dicono: meglio di no, ci ritroveremmo con la gente a protestare fuori dalla porta», spiega Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma. «Al bando della Regione avevano aderito in 1.300 su 4.200. Ma con queste scorte, anche tra chi ha detto sì, molti stanno aspettando». Cosa? «Di avere maggiori certezze sulle forniture. Poi ci saremo, saremo pronti». Sia chiaro: i flaconi che arriveranno, almeno al primo giro, sono pochi. Appena 5 fiale a settimana per studio. Dovevano essere il quadruplo, comunque una goccia nell’oceano, dato il numero degli assistiti, ma è quanto arriverà dalla distribuzione nazionale. «Ci hanno detto che inizieremo con 10 dosi ogni 15 giorni», spiega Pier Luigi Bartoletti, segretario romano della Fimmg (federazione medici di medicina generale), lui sì in prima linea dall’inizio dell’emergenza, tra tamponi e visite, e ora con l’antidoto al Covid non si tira certo indietro. C’è chi si sta organizzando ugualmente, come Giampiero Pirro, medico di Portonaccio, responsabile comunicazione della Fimmg: «Partirò anche con 5 fiale, inizierò con i 65enni con la data di nascita più arretrata, per non far torto a nessuno», racconta. Ma tanti altri hanno schiacciato sul freno. Di fatto, quasi nessuno studio ha stilato una lista, anche se al vaccine-day mancano 4 giorni scarsi.

PIOGGIA DI NO
Girandola di telefonate random da un capo all’altro della Capitale, a caccia di un ambulatorio disponibile a far prenotare un 65enne: «Il dottore non ha aderito, almeno fino a ieri, se ha cambiato idea non lo so, ma non credo», risponde la segretaria di via Orvieto, zona San Giovanni. Dalla Garbatella alla Borgata Finocchio, da Re di Roma al Portuense, tanti studi ai pazienti raccontano di non saperne nulla, anche se la Regione da giorni pubblicizza in ogni modo la partenza delle vaccinazioni dal medico di base dal 1 marzo per chi ha 65 anni. E ha strappato un accordo firmato dalle principali sigle dei sanitari, perfino da quelle più bellicose. Ma telefonando ci si sente rispondere: «Non ne sappiamo nulla». L’assessore alla Sanità della giunta Zingaretti, Alessio D’Amato, promette la linea dura: «Vaccinare contro il Covid non è un optional, è una funzione obbligatoria, come ha chiarito l’accordo nazionale, dopo quello regionale. Per chi si dichiara “stanco” verrà aperto un provvedimento disciplinare». D’Amato spera di raggiungere quota 3.800 adesioni su 4.200, quelle dell’antinfluenzale. Di questo passo, sarà dura, serve una sterzata. «Ma chi si rifiuta - conclude l’assessore - rischia il posto».
 

Ultimo aggiornamento: 15:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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