«Non mi muovo più se non ho il telefono in tasca. Anche quando vado in bagno ho bisogno di sapere quanti passi faccio. Perdere il conto è una cosa impensabile». Alice, ligure di 34 anni, è biologa ed insegnante di Yoga. Ogni sera prima di andare a dormire «controlla il suo fitness tracker», uno di quei braccialetti hi-tech con sensori per monitorare l’attività fisica, per assicurarsi di aver raggiunto il suo obiettivo minimo giornaliero: diecimila passi, circa 7 chilometri. Vale a dire la distanza che separa una persona sedentaria da una in forma. O almeno così ci è stato ripetuto per anni, come una sorta di formula magica presa a riferimento per indicare un’adeguata attività fisica. Al punto che anche l’Oms è arrivata ad approvare la distanza come obiettivo da raggiungere. In realtà però non tutti sanno che non solo la soglia dei 10mila passi è stata ideata negli anni ’60 da un imprenditore giapponese per vendere i suoi contapassi, ma anche che secondo uno studio condotto dalla Harvard Medical School non vi sarebbe alcun motivo di perseguire «obiettivi così irrealistici». Se già a 4.400 passi al giorno si ottiene una riduzione del 41% del tasso di mortalità, questo diminuisce progressivamente fino a circa 7mila passi, e da lì in poi non vi è alcun miglioramento.
Eppure c’è chi ha fatto del monitoraggio quasi una ragione di vita. «Dai a un uomo un contapassi e avrai fatto di lui uno schiavo» scriveva ad esempio il 10 maggio su Twitter, più o meno scherzosamente, Nomfup, vale a dire il collettivo cinguettante dietro cui si cela Filippo Sensi, deputato del Pd ed ex portavoce di Renzi e Gentiloni. «Il controllo del corpo - racconta divertito Sensi - battiti, pulsazioni, passi è diventato un po’ una sorta di gabbia che ti costringe a fare di più».
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Fitness-dipendenza, schiavi del contapassi: il traguardo dei 7 km diventa una malattia
Venerdì 31 Luglio 2020 di Francesco MalfetanoControllare passi e chilometri a fine giornata è un incentivo, ma può anche essere rischioso perché «restituisce un’immagine di noi stessi» di cui non si vuole più fare a meno. «All’inizio buttavo un occhio ogni tanto - aggiunge - adesso è un appuntamento fisso e se ho fatto di meno del giorno precedente mi sento un po’ in colpa».