Covid, quanto si muore oggi? Cosa emerge dal Cfr che a inizio pandemia volava al 6,6% e ora è 0,85

Ma l'Italia è seconda in Europa per casi e decessi in un mese

Giovedì 9 Febbraio 2023
Covid, quanto si muore oggi? Cosa emerge dal Cfr che a inizio pandemia volava al 6,6% e oggi è 0,85

Covid, a che punto è la pandemia? Le mascherine si vedono ancora. Per prudenza o per condizioni di fragilità, nei mezzi di trasporto pubblici, negli aeroporti, negli ospedali si vedono ancora molte facce protette dalla mascherina, sia la chirurgica che la Ffp2. C'è un clima molto più rilassato, è innegabile. Grazie ai vaccini il virus è stato depotenziato e fa molta meno paura. Per questo, rispetto alle fasi più buie della pandemia in cui il solo contagio rappresentava un incubo, un timore, ora l'attenzione si è spostata su un altro dato: non i contagi quanto le morti. Non si guarda soltanto l'indice Rt ma il tasso di mortalità: il CFR, il case fatality rate che è calcolato esclusivamente sulla popolazione dei casi noti, ossia quelli diagnosticati e notificati. Quanto si muore oggi di Covid? L'ultimo dato rilevato è del 3 febbraio: 0,85%.

Tra i casi confermati notificati fino a ottobre 2020, il CFR standardizzato per sesso ed età è stato complessivamente del 4,3%; 6,6% durante la prima fase epidemica (febbraio-maggio), 1,5% nella seconda fase (giugno-settembre) e 2,4% tra i casi diagnosticati nel mese di ottobre. L’elevato CFR che ha caratterizzato la prima ondata epidemica è verosimilmente spiegato dalla limitata capacità diagnostica in questo periodo che non ha permesso l’identificazione di molti casi asintomatici e meno gravi.

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Il 3 gennaio 2021 l'Italia era comunque uno dei Paesi con il tasso di mortalità più alto: 3,31%. Il 6 gennaio 2022 era dello 0,45%. Il 3 gennaio di quest'anno è dello 0,51%. Rispetto a due anni fa si è notevolmente ridotto. Attenzione, non si è azzerato, ma si è ridotto. Si continua a morire di Covid, infatti, soprattutto perché la popolazione italiana è anagraficamente più vecchia di altre popolazioni e quindi più esposta al virus.

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Il vaccino è fondamentale

I pazienti fragili che, nonostante la vaccinazione, hanno contratto Covid-19 in forma grave e sono finiti in terapia intensiva continuano a godere dei benefici del vaccino: rispetto ai pazienti non vaccinati nelle loro stesse condizioni hanno infatti un rischio di morte più basso di oltre il 30%. È il dato che emerge da uno studio condotto dal Gruppo italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia Intensiva (GiViTI), coordinato dall'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, pubblicato sulla rivista Intensive Care Medicine. Lo studio ha coinvolto nell'arco di un anno (da giugno 2021 a giugno 2022) circa mille pazienti ricoverati in 27 terapie intensive. Meno di un terzo di loro era vaccinato; i pazienti vaccinati, inoltre, erano più anziani (71 anni contro i 63 dei non vaccinati) ed erano più frequentemente affetti da comorbidità come ipertensione, diabete, tumori (91,2% contro 65,7%). La ricerca ha mostrato che questa condizione di maggiore fragilità iniziale li espone a più alto un rischio di morte rispetto ai non vaccinati; tuttavia, quando i pazienti vaccinati sono stati confrontati con non vaccinati nelle loro stesse condizioni di età e salute iniziali, il rischio di morte è risultato più basso del 34%. «Ad esempio in pazienti Covid ammessi in terapia intensiva con mortalità del 50% il modello utilizzato ha permesso di stimare che la vaccinazione riduce il rischio di morte a circa il 40%», spiega Stefano Finazzi Responsabile del Laboratorio Clinical Data Science del Mario Negri. «I dati raccolti dallo studio mettono in luce la necessità di una strategia di richiamo nella popolazione fragile (anziani con comorbidità) che potrebbe essere a rischio di infezione», conclude il presidente GiViTI Mario Tavola. 

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Nel mondo

Nei 28 giorni dal 9 gennaio al 5 febbraio, a livello globale sono stati registrati quasi 10,5 milioni di nuovi casi Covid e oltre 90mila morti. Rispetto ai 28 giorni precedenti, «dominati da una grande ondata di contagi e decessi nella regione del Pacifico occidentale e in particolare in Cina», i casi segnano un -89% e le morti un -8%. Lo riporta nell'Organizzazione mondiale della sanità nel bollettino che diffonde settimanalmente. Al 5 febbraio scorso, da inizio pandemia sono oltre 754 milioni i contagi confermati e oltre 6,8 milioni i decessi.

L'Oms torna a precisare che «le tendenze attuali sono sottostime del numero reale di infezioni e reinfezioni» da Sars-CoV-2, «come mostrano le indagini sulla prevalenza.

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Questo è in parte dovuto alla riduzione dei test e ai ritardi nella segnalazione in molti Paesi. «I dati presentati possono essere incompleti e pertanto dovrebbero essere interpretati con cautela», avverte l'agenzia ginevrina che, nel monitorare le variazioni delle tendenze epidemiologiche, ha deciso di effettuare i confronti su intervalli di 28 giorni perché «questo aiuta a tenere conto dei ritardi di segnalazione, ad appianare le fluttuazioni settimanali nel numero di contagi e a fornire un quadro più chiaro rispetto a dove la pandemia sta accelerando o decelerando».

Contagi registrati in calo

A livello regionale, negli ultimi 28 giorni i nuovi casi sono diminuiti o rimasti stabili in tutte le regioni Oms (-92% Pacifico occidentale, -65% Sudest asiatico, -62% Europa, -43% Americhe, -27% Africa, -2% Mediterraneo orientale), mentre le nuove morti sono aumentate in tre regioni (+45% Mediterraneo orientale, +21% Africa, +14% Americhe) e diminuite o rimaste stabili nelle altre tre (-61% Sudest asiatico, -38% Europa, -3% Pacifico occidentale). Per l'Italia, sempre negli ultimi 28 giorni, l'Oms riporta un calo del 66% per i contagi e del 40% per i decessi.

Dove sono più alti i contagi e i decessi

Negli ultimi 28 giorni il numero più alto di nuovi casi Covid è stato segnalato da Cina (3.485.265, -96%), Giappone (2.429.215, -42%), Stati Uniti (1.328.654, -27%), Repubblica di Corea (736.811, -59%) e Brasile (389.444, -59%), mentre per decessi riportati in testa ci sono Cina (40.812, -11%), Usa (15.294, +40%), Giappone (9.874, +28%), Regno Unito (2.671, -32%) e Brasile (2.566, -37%).

Zoomando sulla regione europea, il report Oms indica negli ultimi 28 giorni oltre 1,2 milioni di contagi e 13.652 decessi. Tre Paesi hanno registrato aumenti del 20% o più dei nuovi casi (Kosovo +131%, Georgia +65% e Montenegro +38%). Il numero più alto di nuovi contagi è stato segnalato da Germania (300.876, 361,8/100mila, -59%), Italia (187.023, 313,6/100mila, -66%) e Federazione Russa (169.762, 116,3/100mila, +5%), mentre in testa per nuove morti ci sono Regno Unito (2.671, 3,9/100mila, -32%), Italia (1.740, 2,9/100mila, -40%) e Francia (1.522, 2,3/100mila, -51%).

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La variante Kraken è più pericolosa?

Non è provato che l'ultima variante del coronavirus sia più insidiosa mentre le sue mutazioni potrebbero esserlo. Si sa, invece, che i vaccini proteggono da questo nuovo ceppo (nuovo rispetto al virus originario di Wuhan). «Il nostro lavoro conferma la variante Omicron come la variante dominante nel mondo, mentre ' Kraken' cresce più lentamente delle altre sottovarianti di Omicron e ha molte mutazioni che possono impensierire il sistema immunologico, ma non così importanti da impensierirlo. Quindi i vaccini coprono ampiamente XBB.1.5 o Kraken, infatti non ci sono differenze a livello di epitope con le altre sottovarianti», spiega Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma, commenta lo studio italiano su XBB.1.5 o Kraken a cui ha partecipato insieme a Fabio Scarpa del dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Sassari. «Quindi tranquillità, ma monitoraggio - raccomanda Ciccozzi - perché anche se la sintomatologia è lieve, sulle persone fragili e sulle persone anziane senza copertura vaccinale può dare problemi».

Ultimo aggiornamento: 23:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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