Covid, positivo il 14% dei casi testati. Il Cts: serve la Protezione civile

Martedì 20 Ottobre 2020 di Mauro Evangelisti e Alberto Gentili
Covid, positivo il 14% dei casi testati. Il Cts: serve la Protezione civile

Bisogna mobilitare la protezione civile in tutte le Regioni, perché non si capisce come mai, ad esempio, nei drive-in non vi possa essere il supporto massiccio dei volontari per potenziare il sistema. Al Cts credono nell’utilità di questa mossa, in linea con quanto già avviene in Campania, dove la protezione civile sta inviando medici e infermieri di rinforzo.

Ancora: bisogna fare partire sul serio la rete dei medici di famiglia, affidando a loro il compito di effettuare i tamponi antigenici rapidi. Nel Comitato tecnico scientifico ormai la parola d’ordine è «nervi saldi» di fronte a un incremento dei contagi, anche se resta all’orizzonte il piano del ministero della Salute: qualora l’Rt, l’indice di trasmissione, dovesse superare l’1,25 (la settimana scorsa era a 1,17), bisognerà incrementare le contromisure.

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Il prossimo passaggio - del quale però il Cts ancora non vede la necessità - sarà un’ulteriore stretta sugli orari di bar e ristoranti, arrivando dunque alle 22 come già ipotizzato. Se i contagi vanno fuori controllo, prenderà forza la proposta delle Regioni (in particolare del Veneto) di ricorrere alla didattica a distanza negli ultimi anni delle scuole superiori.

C’è poi uno scenario - che il governo per ora non vuole prendere in considerazione, ma inevitabile con numeri simili a quelli di Francia, Belgio e Spagna - che porterebbe a coprifuoco come già deciso in Lombardia. Ma prima ci saranno graduali chiusure partendo dalle palestre, passando dai cinema, per arrivare ai negozi non di prima necessità. I numeri di ieri sono preoccupanti: la flessione dei casi, 9.338, è un’illusione ottica, visto che lunedì scorso erano stati 4.619 e arriva con un crollo del numero dei tamponi (98.862). La percentuale dei positivi trovati è alta (9,4 per cento, quest’estate era attorno al 2), ma è ancora più rilevante se si considera il numero delle persone testate (meno dei tamponi, che in molti casi sono di verifica sullo stesso paziente): gli infetti sono il 14 per cento, con dei picchi molto significativi. In Valle d’Aosta ieri c’erano 135 nuovi positivi su 251 persone testate, più del 50 per cento (vicino al 30 per cento se si considerano tutti i tamponi); in Liguria siamo attorno al 35 per cento. Va detto, però, che quando si parla di tamponi effettuati ci si riferisce solo ai molecolari, mancano nel conto i “rapidi”, gli antigenici. Resta un fatto: il 14 per cento di positivi sui casi testati e l’incremento anche ieri di 47 pazienti in terapia intensiva, sono un campanello d’allarme. Gli esperti fanno notare che, prima di vedere gli effetti delle misure previste dall’ultimo Dpcm, bisognerà attendere due settimane. 


Per questo anche il governo - che ha passato a Comuni e Regioni la palla degli interventi restrittivi immediati (comincia la Lombardia con il coprifuoco dalle 23 alle 5) - per ora aspetta l’evoluzione della curva epidemica. Ma non esclude «lockdown circoscritti se le attuali misure non dovessero dare effetti», dice il premier Giuseppe Conte. E spiega un ministro: «Abbiamo appena varato il nuovo Dpcm, è presto per valutare altri interventi se la situazione dovesse peggiorare».


Ed è presto anche perché è ancora fresco il doloroso braccio di ferro tra Conte, 5Stelle e Italia Viva e l’ala rigorista dell’esecutivo incarnata dal ministro della Salute Roberto Speranza e dal capodelegazione del Pd Dario Franceschini. Va da sé però che se l’epidemia dovesse raggiungere «alti livelli di allarme, ripartiremo da dove ci siamo fermati», dice un’altra fonte governativa. Ciò significa che verrebbero adottati i provvedimenti stoppati domenica da Conte & C. Inclusa la possibilità, i più cauti, di adottare - se non saranno Comuni e Regioni a farlo prima - il “modello francese”. Vale a dire: il coprifuoco nazionale dalle 21 alle 6. Questo per stroncare la movida e ridurre al massimo le cene tra amici e tra diversi nuclei familiari che sono causa del 75% dei contagi. Poi, se non bastasse, si procederebbe a ritroso con le riaperture di maggio e giugno. Ma sono scenari che Conte, preoccupato dall’impopolarità e dal rischio di stroncare una ripresa appena avviata, non vuole in questa fase prendere in considerazione. Tra il Pil e la tutela della salute, il premier per ora preferisce pensare al primo. Anche perché una nuova stretta generale finirebbe per mettere del tutto in ginocchio l’economia, con un conseguente esborso da parte dello Stato di miliardi di “ristori” per le aziende colpite dalle chiusure. Ed è la ragione per la quale Conte invita a «pensare in modo ragionato, non emotivo».
 

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