Coronavirus, quanti sogni strani per stress da epidemia ma sono un aiuto

Mercoledì 15 Aprile 2020 di Riccardo De Palo
Joseph Gordon-Levitt in una scena onirica del film “Inception” (2010) diretto da Christopher Nolan

Quanti sogni, all'epoca del coronavirus. Immagini oniriche vivide, cinematografiche, spesso opprimenti, come in un romanzo di Orwell; oppure incubi terrificanti, che ci svegliano di soprassalto. Molti psicologi - in tutti i Paesi interessati dall'epidemia - hanno notato che, in questo periodo, le persone sognano più del solito, e spesso ricordano tutto, in maniera vivida, persistente. Questo perché, spiegano, dobbiamo elaborare la realtà che ci circonda, renderla accettabile, farcene una ragione; oppure - è il caso degli incubi - non ci riusciamo, poiché il ricordo del trauma che abbiamo vissuto è ancora troppo potente.

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LA TECNICA
Il New York Times ha raccontato il fenomeno in un lungo articolo, in cui si spiega anche come cercare di scegliere cosa sognare. Deirdre Barrett è una psicologa e ricercatrice dell'Harvard Medical School, che ha studiato questi temi per decenni, e che sta raccogliendo dati sugli effetti della pandemia sulle nostre menti. Molti americani, ha notato, hanno subito un «cambiamento significativo» nelle loro vite; e questo non può che ripercuotersi sulla qualità (e sulle immagini) del sonno.

Paura di spegnere la luce del comodino? Per la dottoressa Barrett, è possibile decidere, entro certi limiti, cosa sognare, seguendo una certa tecnica. Lei la chiama incubazione. Vediamo come funziona.
Bisogna scegliere, anzitutto, quale esperienza vogliamo vivere: un volo, per esempio: «Se siete bravi a visualizzare un'immagine, pensate di librarvi nell'aria», ha detto Barrett al quotidiano americano. «Se invece avete difficoltà a mettere a fuoco un'immagine col pensiero, prendete una foto, o un oggetto relativo al tema prescelto, contemplatela e lasciate che sia l'ultima cosa che vedete, prima di spegnere la luce».

Bisogna poi continuare a concentrarsi su quella stessa immagine nel dormiveglia, finché non si cede al sonno. Secondo l'esperta, questo sistema ha una buona possibilità di riuscita; anche se non sempre va a buon fine. «Vale comunque la pena di provare», dice.

Anche gli psicologi italiani hanno notato l'incremento di lavorio onirico, in questi giorni. «Io stessa - dice Anna Maria Nicolò, presidente della Società Psicoanalitica Italiana - che ieri ho avuto una giornata complicata di lavoro, ho sognato che mi trovavo a un concerto con degli amici; e mi sono detta: ma com'è possibile che io sia qui, in un tale assembramento di persone, proprio ora che c'è il coronavirus

«Il sogno - dice Nicolò - serve alla nostra mente per elaborare gli aspetti conflittuali, di tensione, attingendo alla realtà quotidiana, ai residui diurni». Quando un paziente sogna, dice, è un fatto positivo: «Vuol dire che sta trasformando le angosce in pensieri». Per capire l'importanza di questo processo, basti citare gli schizofrenici, che «non sognano, e hanno piuttosto manifestazioni psicotiche, come le allucinazioni». L'incubo è invece «un sogno interrotto», è il segnale che «non siamo riusciti a portare avanti questa attività di trasformazione importante».
Nicolò nota anche alcuni fenomeni interessanti, nei gruppi familiari o nelle coppie, costretti alla separazione, oppure alla convivenza forzata: «Può succedere che uno si faccia avanti come il portavoce di tutti, attraverso un sogno, dando espressione a contenuti fantasmatici comuni a tutti gli altri; oppure - è il caso delle coppie - ci sono contenuti condivisi, per cui uno sogna un aspetto, e il partner ne sogna un altro».

SPETTACOLARE
Anche Stefano Bolognini, psicoanalista e psichiatra, ex presidente della International Psychoanalytical Association, ha notato il fenomeno: «Molti miei colleghi hanno rilevato che stiamo sognando molto, che stiamo ricordando molto i nostri sogni; i contenuti onirici hanno inoltre una qualità sicuramente traumatica». Anche senza un riferimento diretto alla pandemia, «ci sono però situazioni che sarebbero assolutamente adatte a film di fantascienza con atmosfere di qualità persecutorie, angoscianti, pervasive, cinematografiche».

Un esempio? «Situazioni in cui un gruppo di persone deve correre ai ripari, perché c'è una minaccia incombente. Si preparano situazioni protettive, oppure si fugge su una montagna; ma con una modalità molto spettacolare».
Insomma, come accade nei casi traumatici, «la nostra mente non realizza completamente che tutto ciò che stiamo vivendo è proprio vero»; c'è ancora bisogno di un lavorio onirico per «renderci conto» di cosa stiamo vivendo, e che fino a poco prima «non ci aspettavamo assolutamente».

Una volta terminata l'emergenza, molti, soprattutto gli operatori sanitari impegnati in prima linea, «avranno bisogno di un lungo periodo per metabolizzare» quanto accaduto. «Sarà come aver vissuto una guerra un po' fantascientifica, metafisica: non vediamo il nemico davanti a noi, ma sappiamo che serpeggia, invisibile, dappertutto».

 
 

 
 
 

Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 22:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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