Coronavirus, Lopalco: in Italia più morti? Dipende dai tamponi. A rischio anche chi è in salute

Giovedì 5 Marzo 2020 di Lorenzo De Cicco
Coronavirus, Pier Luigi Lopalco: in Italia più morti? Dipende dai tamponi. A rischio anche chi è in salute

Pier Luigi Lopalco, professore ordinario di Igiene dell’università di Pisa, gli ultimi dati che abbiamo sul Coronavirus, comunicati ieri dalla Protezione civile, dicono che aumentano - di molto - i guariti, ma anche che sale il tasso di mortalità. Che significa?
«Intanto bisogna dire una cosa: la mortalità spalmata su campioni “variabili”, da Paese a Paese, è un dato fuorviante. Poi il tasso cambia a seconda delle fasce di età, si è visto: il rischio di morte è più alto nelle persone anziane. Il fattore da tenere d’occhio, in questa fase, è il numero dei pazienti in terapia intensiva».

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Ieri erano 295, l’altro ieri erano 229.
«Questo dato ci dice che la curva di crescita non sta ancora risentendo delle misure di contenimento. Per precauzione, le altre regioni dovrebbero prepararsi a un’eventuale ondata, modello Lombardia e Veneto».

C’è un dato che impressiona: il tasso di mortalità in Italia sembra più alto che altrove. In Sud Corea, il secondo paese per casi di coronavirus, hanno il doppio dei contagiati e meno della metà dei morti registrati in Italia (dati del 3 marzo). C’è una correlazione con il fatto che lì, in Corea, hanno rafforzato i controlli su tutti, anche sugli asintomatici, quindi la proporzione con i morti è meno marcata?
«Sì, è la spiegazione più logica. Il rapporto tra contagiati e morti cambia in base a quante persone vengono sottoposte al tampone e se sono sintomatiche o senza sintomi. Perché all’Oms bisogna segnalare ogni caso positivo, da chi è molto grave a chi sta bene e rimane a casa, senza nemmeno un ricovero. Il fatto che si facciano i tamponi a tutti o principalmente a chi ha sintomi, quindi, incide».

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Se in Italia i tamponi li facciamo solo a chi ha sintomi conclamati, significa che i potenziali contagiati sono molti di più? 
«Gli asintomatici possono trasmettere il virus, anche se la capacità di trasmissione è minore. Per fortuna gli asintomatici, in proporzione, sono pochi. Allargare i controlli era molto importante nella prima fase dell’epidemia. Ora tocca concentrarsi sulle misure di contenimento e di rallentamento. Come la chiusura delle scuole, che mi sembra ragionevole».

Funzionerà?
«Questo lo sapremo solo tra qualche giorno».
 


Tornando ai tamponi: si potrebbero allargare anche a chi non ha sintomi, come succede in Corea?
«Ora si rischierebbe di sovraccaricare i laboratori».

Quanto durerà l’emergenza?
«Quando vedremo arrestarsi la curva in Lombardia, potremo intuire l’evolversi del contagio. Prima è impossibile: non ci sono modelli per capire se hanno funzionato o meno queste misure di contenimento. Per ora non ci sono segnali forti su un arresto della diffusione del virus. È fondamentale che chiunque abbia la febbre, resti a casa».

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Da quanto era presente il virus in Italia?
«Molto probabilmente tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. Prima del blocco dei voli con la Cina. Dallo studio dei ceppi isolati in Italia, si potrà risalire più precisamente al loro antenato “comune”, quello che è arrivato direttamente dall’Asia».

C’è chi dice che in Italia siano morte principalmente persone già affette da altre patologie gravi. È così?
«Casi gravi si possono avere anche tra persone in perfetta salute, come si è visto nel cosiddetto “paziente 1”.
Poi più è debilitato il soggetto, più c’è il rischio di forme letali».

Ultimo aggiornamento: 18:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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