Barbara Capovani uccisa a Pisa, la psichiatra Emi Bondi: «Mancano duemila professionisti, ormai conviviamo con la paura»

La presidente della Società Italiana di Psichiatria: «I servizi sono al collasso, lo stiamo dicendo da anni»

Lunedì 24 Aprile 2023 di Graziella Melina
Barbara Capovani uccisa a Pisa, la psichiatra Emi Bondi: «Mancano duemila professionisti, ormai conviviamo con la paura»

«Già 10 anni fa, dopo la morte della collega di Bari, ci siamo detti “mai più”. E invece è accaduto di nuovo». Emi Bondi, presidente della Società Italiana di Psichiatria prova a denunciare le carenze del sistema sanitario, ma fa fatica: «Conoscevo bene Barbara Capovani, per cui c’è anche un dolore personale oltre a quello legato al fatto che si tratta di una collega.

Sapere che ha avuto una morte così terribile è angosciante per ciascuno di noi. Smontava da 10 ore di lavoro, con 3 figli a casa, con tutto da mandare avanti. Era una persona molto determinata e preparata, ma che conservava comunque un grandissimo tratto di umanità e di attenzione». 

Ha paura anche lei? 
«Noi conviviamo con la paura: nel nostro mestiere può capitare che ci siano episodi di aggressività legati a pazienti che in quel momento sono scompensati, quindi hanno un’alterazione della percezione della realtà. Ma questo lo sappiamo anche gestire. Siamo molto più in difficoltà quando ci troviamo di fronte ad altre tipologie, con personaggi che sono più lucidi e freddi, con disturbi di personalità antisociali, che hanno fatto uso di sostanze. In questi casi è molto più difficile poter intervenire e curare». 

Quali le difficoltà maggiori? 
«Dopo di anni di tagli di personale, il numero di psichiatri è diminuito in maniera drammatica, ne mancano circa 2mila. Ma cominciano a scarseggiare anche tutte le figure che lavorano con noi in équipe, dagli infermieri, agli psicologi, gli educatori, l’assistente sociale. Questa carenza drammatica ci ha portato a dover chiudere molti servizi». 

Nel frattempo però le richieste sono aumentate? 
«Abbiamo avuto un trend in aumento dal 2000, stanno aumentando i disturbi anche per l’uso notevole di sostanze stupefacenti, si è abbassata l’età di esordio, abbiamo sempre più tra i pazienti le fasce giovanili. Il covid, poi, ha fatto da acceleratore: sono cresciuti i disturbi dei ragazzi, i tentativi di suicidio, l’uso di droghe, l’ansia e la depressione e tutte le patologie psichiche in generale». 

Chi si dovrebbe prendere cura di questi pazienti? 
«Noi abbiamo un servizio pubblico diffuso e capillare. In base alla legge 180 di 45 anni fa, l’Italia rispetto ad altre nazioni europee avrebbe la possibilità di fare psichiatria di territorio, vicina alle persone. Purtroppo, se non c’è personale e non ci sono più gli operatori, questo intervento precoce che dovremmo dare diventa sempre più difficile. Sono anni che lo stiamo segnalando in tutte le forme, abbiamo continuato a dire che siamo a un punto di non ritorno e che i servizi non ce la fanno più a stare dietro ai bisogni che stanno crescendo». 

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E se poi i pazienti commettono un reato? 
«Con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari prevista dalla legge 81 del 2014, i pazienti che hanno compiuto un reato in uno stato di alterazione psichica devono seguire percorsi di cura e non semplicemente di custodia. Erano previste le rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dovevano esserci comunità adeguate, che però sono nettamente insufficienti per quelli che sono i bisogni reali e i numeri dei pazienti che ne necessitano. Abbiamo mille posti di meno, ci sono liste di attesa di mesi per riuscire a entrare nelle rems, anche perché al contrario è aumentato notevolmente il numero di persone a cui la magistratura riconosce che il reato è dovuto a cause psichiche». 

Cosa è urgente fare? 
«Bisogna ripensare e rivedere questa legge, in termini anche di effettiva applicabilità, individuare percorsi differenziati per i pazienti autori di reato. Bisogna investire di più nei servizi di salute mentale, soprattutto per i servizi territoriali perché possano intercettare, seguire e curare i pazienti psichiatrici. Nel ‘99 la conferenza stato regioni aveva stabilito che il 5 per cento del fondo sanitario regionale fosse destinato alla salute mentale. Oggi siamo ancora al 3 per cento».
 

Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 08:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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