Al momento la Dda di Roma ipotizza soltanto il sequestro di persona: Francesco Vitale sarebbe stato rapito per un debito di droga da recuperare. Una partita da 500mila euro che gli sarebbe costata la vita. Perché l’uomo di 46 anni, barese, è precipitato dal quinto piano di un palazzo in via Pescaglia, alla Magliana.
Francesco Vitale, precipitato alla Magliana: l'antimafia indaga sulla morte
L’ipotesi è che il sequestro sia avvenuto a Roma lo stesso giorno della morte. Il corpo è stato ritrovato martedì mattina nel cortile interno dello stabile. Il fratello aveva presentato una denuncia a Bari dove l’uomo viveva con la compagna. E con la compagna sarebbe arrivato nella Capitale per un appuntamento. Sia la donna che il fratello hanno riferito del debito.
E adesso si ricostruiscono le ultime ore di vita di Vitale. I militari dell’Arma hanno individuato l’appartamento dal quale l’uomo è precipitato da una semplice osservazione: tutti i fili per il bucato dei piani inferiori al quinto erano spezzati. Il pr si sarebbe aggrappato mentre precipitava nel vuoto. L’immobile nel quale sarebbe stato trattenuto è stato trovato ripulito e in ordine, il proprietario, indagato per sequestro di persona, è stato già interrogato dai carabinieri. Ma l’ipotesi è che non fosse da solo. Vitale non aveva con sé il cellulare, né portafoglio e documenti, ma attraverso i tabulati e le celle del telefonino i militari stanno ricostruendo contatti e spostamenti.
VECCHIE INDAGINI
L’avevano chiamata indagine “Box”, era nata dal sequestro di 35 chili di cocaina trovati in un garage. Una storia di narcotraffico tra la Spagna e Brindisi, legata alla criminalità organizzata locale, con la droga che finiva sulle piazze romane. Il nome di Vitale, che faceva il pr nelle discoteche a Ibiza, era comparso, nelle indagini della primavera 2021, anche se non con un ruolo di primo piano. Protagonisti erano invece Daniele Carlomosti e Alessandro Corvesi. E proprio di Carlomosti, da sempre addetto alla riscossione dei crediti di droga, anche Massimno Carminati parlava con timore: «Quelli so brutti forte compà», diceva, intercettato negli atti sul “Mondo di mezzo”, a proposito del gruppo (legato anche agli albanesi) che gestiva le piazze di Roma Est. “Il gigante”, come emerso da un’altra inchiesta, avrebbe anche allestito una “stanza delle torture”, nella quale veniva portato e seviziato, con forbici tronchesi e trapani, chi non pagava i debiti di droga. Mentre l’ex calciatore Corvesi insieme ad Elvis Demce, noto criminale albanese, avrebbe pianificato un omicidio su una chat criptata per vendicarsi di un debito di droga non pagato. Ma sempre su quella chat discutevano anche di uccidere anche un magistrato romano.
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