Simonetta Cesaroni, una commissione d'inchiesta in Parlamento per la verità sul delitto di via Poma

Dopo la riapertura delle indagini da parte della Procura, a maggio anche il Parlamento inizierà ad occuparsene

Lunedì 21 Marzo 2022 di Michela Allegri
Simonetta Cesaroni, una commissione d'inchiesta in Parlamento per la verità sull'omicidio di via Poma

Un nuovo fascicolo della Procura di Roma e anche una commissione parlamentare d’inchiesta per cercare di risolvere uno dei cold case più famosi della Capitale: il delitto di via Poma, l’omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa a soli 20 anni con ventinove coltellate nell’agosto del 1990, nel quartiere Prati.

Sul fronte giudiziario la novità è una testimonianza inedita, riportata ai familiari della Cesaroni da uno degli investigatori che, all’epoca, coordinava gli accertamenti: Antonio Del Greco, che è stato sentito in Procura per oltre quattro ore dal procuratore aggiunto Ilaria Calò, lo stesso magistrato che ha seguito il caso fin dall’inizio. Nelle scorse settimane sono stati ascoltati anche altri testimoni. Del Greco ha raccontato che, dopo aver pubblicato un libro sul delitto, ha ricevuto diverse segnalazioni, «una in particolare era molto verosimile, sia per la fonte autorevole sia per i contenuti», ha raccontato l’ex funzionario della Mobile. Da qui, la comunicazione alla famiglia e l’esposto in Procura. Ma questo non è l’unico fronte dal quale potrebbe arrivare una svolta sul caso che 32 anni fa sconvolse la Capitale.

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LA DECISIONE
Il deputato del Pd, Roberto Morassut, ha presentato una proposta di legge per la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, che andrà in approvazione in aprile. Significa che, salvo imprevisti, i lavori inizieranno nel mese di maggio. «È uno strumento parlamentare che non sostituisce il ruolo della magistratura inquirente, che può decidere sulla base delle più opportune valutazioni se riaprire o no una certa inchiesta. Ma la Commissione, con le sue prerogative, può contribuire a raccogliere e mettere in fila elementi utili, e trasmetterli alle autorità, su una vicenda che evidentemente va ben oltre il caso di cronaca in sé - ha dichiarato Morassut - Si tratta di un caso irrisolto, un femminicidio che ha inciso sulla memoria popolare e nazionale. In un certo senso è un risvolto dei vari lati sommersi della vita repubblicana. Sulla verità dei fatti nessuno può avere delle tesi e sarebbe assurdo averle. Si è molto insistito per esempio sul carattere “territoriale” del responsabile o dei responsabili dell’omicidio. Forse questo è uno degli aspetti meno illuminati della vicenda. Vedremo il tempo che avremo a disposizione anche in relazione ai pochi mesi residui della legislatura. In ogni caso penso che tutto ciò possa aiutare a non lasciar cadere nell’oblio una vicenda che, nonostante il tempo trascorso, può forse ancora essere restituita alla giustizia».

Gli accertamenti, quindi, correranno paralleli a quelli della Procura. Al centro del nuovo fascicolo aperto a piazzale Clodio ci sarebbe uno dei primi sospettati, ascoltato all’inizio dell’inchiesta nel 1990: secondo la testimonianza raccolta da Del Greco potrebbe avere fornito un alibi falso. Questa persone era già finita nel mirino degli inquirenti poco dopo il delitto, ma la sua posizione era stata archiviata. Ora il suo alibi, a distanza di oltre trent’anni, potrebbe essere smentito.

I FATTI
Ma ecco i fatti. Estate 1990, Simonetta Cesaroni non è ancora andata in vacanza, ma è rimasta a Roma a lavorare: fa la segretaria negli uffici dell’Aiag, al civico numero 2 di via Poma, a pochi passi da piazza Mazzini. Il suo ufficio si raggiunge dalla scala B: il portiere responsabile è Pietro Vanacore, detto Pietrino. La giovane non rientra a casa e non risponde al telefono. La sorella, quindi, chiama il capo di Simonetta, Salvatore Volponi, e insieme vanno a cercarla. La porta è chiusa a chiave. Il cadavere di Simonetta, svestito, è in terra, trafitto da 29 coltellate. Le chiavi della ragazza sono sparite, come l’arma del delitto.
Nel corso degli anni ci sono stati diversi sospettati: da Vanacore - morto suicida nel 2010 - a Volponi, da Federico Valle - il padre aveva uno studio nello stabile - a Raniero Busco, fidanzato della vittima. Busco è stato rinviato a giudizio e processato: nel 2011 è stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione, sentenza ribaltata nel corso dell’appello, che si è chiuso con un’assoluzione confermata dalla Cassazione nel 2014.
 

Ultimo aggiornamento: 10 Ottobre, 15:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA