Per i titolari dei bar e ristoranti di Roma la misura è colma tanto da essere pronti a scendere in piazza.
LE DIVISIONI
Il mondo romano degli esercenti è in subbuglio. Anche perché da un lato il Comune è pronto a fare una sua ordinanza per prolungare l’apertura dei locali dalle 18 alle 22, mentre dall’altro il governo e la Regione, rispettivamente, nicchiano e si oppongono a una misura simile. Senza dimenticare che il comparto ha registrato dopo la pandemia una riduzione degli incassi vicina ai 2 miliardi di euro, mentre sempre nella Capitale quasi 9mila aziende legate alla ricezione e alla somministrazione di cibo (bar, ristoranti ma anche hotel e bed & breakfast) ha sospeso l’attività in attesa di tempi migliori o dichiarato fallimento, chiudendo definitivamente.
Aggiunge Pica: «La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il ritardo sui ristori. Diamo al governo tempo fino a fine di questa settimana per dare un segnale. Qualora non arrivasse, per i pubblici esercizi sarebbe quasi dovuto scendere in piazza». Secondo il leader della Fiepet, «si deve protestare anche per segnalare l’inutilità delle chiusure anticipate. Confermiamo, e appoggiamo il Comune su questa strada, che le nostre attività devono poter andare fino alle 22. Ancora non capiamo perché nelle zone gialle o in quelle arancioni, gli unici a essere colpiti sono soltanto bar e ristoranti, che rispettano in maniera maniacale le regole sanitarie».
Gli fa eco dalla Fipe-Confcommercio il direttore della sede capitolina, Luciano Sbraga: «A questo punto mi viene da pensare che si usi la nostra categoria per tenere in allerta la popolazione: ci sono affollamenti sugli autobus, nelle scuole o nelle strade, ma lasciare i bar e i ristoranti chiusi forse serve da memento alla gente per ricordare alle gente che c’è il Covid e bisogna fare attenzione». Una modalità che secondo Sbraga non regge: «Guardando alle percentuali tra controlli e multe, si scopre che soltanto il 7 per cento dei locali della ristorazione è stato multato. Ripeto: soltanto il 7 per cento!».
Su più fronti- quello nazionale, regionale e comunale, senza dimenticare i tavoli in Prefettura - le sigle che riuniscono gli esercenti della somministrazione di cibo e bevande propongono soluzioni per allungare l’orario. L’ultima proposta, per esempio, lanciata dalla Fipe, prevede anche di far accedere ai locali soltanto chi può mostrare (carte alla mano) l’esito negativo di un tampone effettuato nelle 24 ore precedenti. Sempre le stesse associazione, in passato, hanno chiesto di rendere obbligatorie la prenotazione e la misurazione della temperatura, finora soltanto “consigliate” dai Dpcm. Altra battaglia che vede allineate queste categorie e il Comune è quella di anticipare alle 18 la vendita di alcool da parte dei minimarket. «Stando alle regole attuali - conclude Pica - un’enoteca non può più vendere dopo una certa ora, mentre un negozietto “bangla” può tranquillamente distribuire birra e vino fino a tardi. L’unica vera soluzione è quello di servire alcool soltanto a chi entra e si siede in bar e ristoranti, evitando la movida selvaggia in strada».