Roma, infermiera si rifiuta di togliere il catetere: presa a pugni dai parenti del paziente. Famiglia a processo

Martedì 4 Febbraio 2020 di Adelaide Pierucci
Roma, infermiera si rifiuta di togliere il catetere: presa a pugni dai parenti del paziente. Famiglia a processo
L'infermiera si rifiuta di togliere un catetere su ordine dei parenti di un paziente, viene presa per il collo e a pugni in faccia in pronto soccorso. Ora nel processo a carico degli aggressori spediti a processo dal giudice di pace per lesioni e minacce entra in scena il Policlinico Gemelli. L'istituto ha formalizzato la costituzione di parte civile con un doppio scopo: mostrare vicinanza agli operatori e spuntare il risarcimento per i danni all'immagine dopo lo scompiglio creato e per quelli patrimoniali visto che l'infermiera si è dovuta assentare per dieci giorni dal lavoro, nonostante le immediate cure dei colleghi di pronto soccorso. Un danno, quindi, anche per la struttura, ha concluso il consiglio di amministrazione chiamato a vagliare l'episodio.

IN SALA
Il caos al pronto soccorso scoppia il 25 novembre del 2018, mentre medici e infermieri sono alle prese con più codici rossi. Un anziano, da codice giallo, era stato sistemato su una barella per una sospetta infezione alle vie urinarie e a stretto giro sottoposto all'inserimento di un catetere. L'apparecchio però secondo la figlia avrebbe acuito il dolore. Da qui la decisione di stringere le mani al collo di una infermiera che si era rifiutata all'istante di rimuovere l'apparecchio. «Ero in servizio nel pronto soccorso», racconterà nella denuncia l'infermiera, «e verso le 21.30 notavo una donna gridare: Chi ha deciso di mettere il catetere a mio padre? Passandole vicino le risposi di parlare col medico. E così mentre mi recavo in sala rossa per prendere direttive, la parente che gridava mi aggrediva alle spalle afferrandomi il collo e nonostante mi fossi riuscita a liberare ha continuato a sferrarmi pugni all'orecchio e sulla bocca. Il resto lo ha fatto il marito minacciandomi T'ammazzo e dandomi della poco di buono».
Sono i carabinieri a risalire all'identità della coppia inalberata, due imprenditori cinquantenni del quartiere San Giovanni. E che ora, assistiti dagli avvocati Gian Maria e Carlotta Nicotera, sperano di dimostrare di aver agito in quel momento nella convinzione di tutelare l'anziano genitore evitandogli la sofferenza per loro inutile. Quel catetere, secondo loro, insomma, non andava messo. Il 27 febbraio del 2019 il caso viene sottoposto al Consiglio di amministrazione della Fondazione Gemelli. La decisione di intervenire a tutela e a sostegno della propria dipendente viene presa all'unanimità. «Stante quanto ha riferito l'infermiera e su indicazione del direttore sanitario», riporta il verbale del cda, «si ritiene utile la costituzione di parte civile anche per dare un tangibile senso di vicinanza agli operatori». Su indicazione del direttore generale è stato incaricato del caso un legale, l'avvocato Gaetano Scalise.

AL SAN GIOVANNI
Due settimane fa, un uomo ricoverato al San Giovanni Addolorata dopo essersi gettato da sesto piano di un edificio, ha picchiato gli operatori del pronto soccorso e minacciato i presenti nella mensa interna con un coltello. Il paziente, probabilmente ancora in preda a sostanze stupefacenti, si era lanciato dalla finestra, come ha riferito, «spinto da voci» e si era salvato miracolosamente impigliandosi sui fili del bucato, frenando la caduta a picco.
Ultimo aggiornamento: 10:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA