Roma, i batteri salvano l'Arco di Settimio Severo con un restauro «bio»: scoperta una porta segreta

Mercoledì 21 Luglio 2021 di Laura Larcan
Roma, i batteri salvano l'Arco di Settimio Severo con un restauro «bio»: scoperta una porta segreta

L'ultima legione di batteri che sta salvando l'Arco di Settimio Severo. Il grande gigante gentile del Foro Romano (per dirla con Roald Dahl) si piega alle potenzialità del microcosmo. Il secondo arco più grande di Roma (dopo Costantino), una mole titanica di quasi 24 metri che sembra gareggiare con il profilo del Campidoglio, è al centro di una sperimentazione inedita per l'area archeologica centrale. Senza precedenti. Un restauro bio che sta curando da lesioni, disgregazioni e fratture diffuse il vasto apparato decorativo di statue, rilievi, colonne e capitelli, attraverso uno speciale allevamento di batteri. Un unicum. «Il prezioso consolidamento dei marmi avviene attraverso un processo naturale, ecosostenibile, alimentando il ciclo vitale dei batteri che vivono all'interno dei marmi stessi e che si ricoprono di uno strato di carbonato di calcio», spiega la direttrice del parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo che ha messo in campo questa avventura biologica.

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L'Arco di Settimio Severo d'altronde andava curato. I ponteggi vertiginosi offrono in questi giorni una prospettiva ravvicinata alle figure ciclopiche dell'esercito dei Romani alla conquista delle quattro città dei Parti per omaggiare i trionfi di Settimio Severo nel II secolo d.C. Qui la canicola è stemperata dal ponentino. E non a caso. «L'arco registra l'impatto delle correnti come una cartina al tornasole - indica Federica Rinaldi, responsabile del cantiere - Con questo intervento di manutenzione straordinaria ci siamo resi conto dell'impatto che hanno i venti sul monumento: le parti più erose spiccano sul versante sud, mentre a nord le figure mantengono meglio la loro integrità».

Lo staff del parco è al lavoro sulle bellissime e commoventi figure scolpite nel marmo, orchestrate in scene di assedio, scontri, tragedie umane e fasti, che rivestono le pareti dell'arco tra vittorie alate e allegorie dei fiumi. I barbari sconfitti a terra, le truppe romane con lo scudo a cavallo. Ed è qui che si coltivano i batteri. «Una famiglia di batteri vive all'interno del marmo - spiega il restauratore Alessandro Lugari - Il consolidamento attraverso i batteri si attiva stimolando il loro ciclo vitale: questi microrganismi si nutrono delle scorie interne del marmo e lo consolidano perché si ricoprono di uno strato di carbonato di calcio, formando una sorta di crosta, non altro che la molecole che compone il marmo. Al microscopio elettronico si può verificare così che tutte le fessure presenti nel marmo del monumento vengono gradualmente ricoperte e riempite da questa massa di batteri che si auto-producono». Come? «Li nutriamo per farli crescere - aggiunge Lugari - Diamo loro un enzima che li stimola a produrre carbonato di calcio». Come viene somministrato l'enzima? «Sotto forma di uno speciale gel - precisa il restauratore - che viene steso sul marmo. Chiaramente la superficie deve essere chiusa, coperta, perché altrimenti i batteri non vengono in superficie. Loro vivono al buio, sono fotosensibili, quindi noi passiamo il gel e poi incartiamo la parti trattate del monumento con scatole di legno, come una sorta di armadio. Il trattamento va ripetuto ogni cinque sei ore, e dura circa venti giorni. E si vede subito l'effetto di consolidamento».

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Le scoperte

Archeologi e restauratori al lavoro stanno ristudiando tutto il gigante. Con l'utilizzo del laser, ad esempio, sono stati riportati a vista segni particolari del tempo, come graffiti di figure fantastiche, frasi e firme lasciate tra il 500 e il 700. L'iscrizione dedicatoria, a 23 metri d'altezza, ha riservato non poche sorprese. Intanto sono state ritrovate parti delle lettere in bronzo originali. Poi, è stata riaperta una porta segreta: «Si tratta della camera di ispezione antica - dice Alfonsina Russo - un ambiente che era collegato ai passaggi interni usati per la manutenzione dell'epoca». E sempre l'iscrizione, ora, regala un retroscena: «Sapevamo che l'Arco fosse dedicato a Settimio Severo e ai figli Geta e Caracalla, e ora - avverte Federica Rinaldi - si vede l'intervento di damnatio memoriae sul nome di Geta attuato dopo l'uccisione da parte di Caracalla». E tra le figure a rilievo dei barbari sul basamento, infine, è riemerso anche un foro: qui nel Medioevo, quando il Foro Romano era interrato e si camminava a quote più alte, qualcuno ha usato l'Arco per legare cavalli e asinelli.

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