Sequestrato e violentato dai suoi compagni di cella, che lo avrebbero legato con una corda e minacciato con un coltello rudimentale. È il racconto drammatico di un detenuto del carcere di Regina Coeli, che dopo essere stato soccorso e accompagnato in ospedale dalla polizia penitenziaria, ha formalmente denunciato i suoi aggressori.
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Dalla ricostruzione che arriva da fonti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria però la vigilanza dinamica e le celle aperte non avrebbero avuto nessun ruolo in questa vicenda. Vittima e aggressori erano infatti da inizio aprile tutti e tre positivi al Covid e per questa ragione detenuti nella Settima Sezione, che nel carcere romano- in questo momento alle prese con un focolaio che ha coinvolto 211 reclusi, il più grosso a livello nazionale- è destinata a chi ha contratto il virus. Sezione in cui le celle restano chiuse proprio per evitare la diffusione del contagio. L'aggressione sarebbe avvenuta la settimana scorsa nella camera di pernottamento che i tre condividevano. E la visita in ospedale, secondo fonti sindacali, avrebbe confermato la violenza subita dalla vittima, che ora è seguita oltre che da sanitari anche da psicologi.
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Avviata un'indagine
Reali le carenze di organico della penitenziaria a Regina Coeli, istituto che ospita quasi 300 detenuti in più ( sono in tutto 912) rispetto ai posti regolamentari (615). I poliziotti in servizio effettivo sono 373 sui 516 previsti. Ma presto ci sarà un rafforzamento, si apprende da fonti di via Arenula: le prime dieci unità arriveranno a maggio,altre 21 a settembre, e altre ancora potrebbero aggiungersi a inizio giugno per effetto dei trasferimenti. Le stesse fonti segnalano che a breve sarà siglata anche un'intesa per attivare un laboratorio informatico nel carcere romano in cui formare un gruppo di detenuti da impiegare nella digitalizzazione di atti giudiziari dei grandi processi del passato.