Pulire le strade, abbattere selettivamente quei capi che sono entrati a contatto con la zona rossa dell’Insugherata, recintare i parchi ma analizzare anche gli allevamenti dei suini per cercare di arginare la proliferazione della peste suina africana. Risalire la filiera del contagio è pressoché impossibile ma secondo gli esperti ci sono altissime probabilità per ritenere che i cinghiali, risultati positivi al virus della peste suina africana, si siano contagiati mangiando gli scarti e i rifiuti ai bordi di alcuni cassonetti della Capitale.
Per arrivare a questa deduzione bisogna partire da una premessa e spiegare in che modo si diffonde il virus che ad oggi ha costretto la Regione a definire “area rossa” la zona del parco dell’Insugherata.
Peste suina, a Roma altre 14 carcasse di cinghiali. «Il contagio forse dai rifiuti»
La peste suina una volta contratta dall’animale - cinghiale o maiale che sia - lo uccide ma resta “viva” nella sua carne «in quella congelata o refrigerata - spiega Vittorio Guberti, veterinario dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - per mesi e nella carne a temperatura ambiente per settimane».
LA REINFEZIONE
«L’unica ipotesi epidemiologica che abbia un senso per spiegare questi casi di infezione tra i cinghiali è che uno o tutti abbiano mangiato scarti di carne infetta e abbandonata tra i rifiuti dalle persone che, pur consumandola, restano immuni al virus. Anche perché il posto più vicino in cui abbiamo un’analoga infezione è Genova ma non ci sono casi, lungo il percorso che porta a Roma, di cinghiali positivi alla peste suina. Quindi è da escludere che il contagio sia avvenuto per migrazione e passaggio tra cinghiali». Da qui una riflessione che può avere dei contraccolpi anche di natura economico-finanziaria. «La peste suina africana - prosegue il veterinario dell’Ispra - è una malattia prettamente economica, dove c’è la peste i costi di produzione del maiale esplodono, la trasmissione è altissima e non c’è scampo».
GLI EFFETTI
Se dunque il virus dovesse oltrepassare i confini del Grande Raccordo insinuandosi ad esempio «nel viterbese o nella zona del lago di Bolsena dove ci sono molti allevamenti di suini e dove pure non mancano i cinghiali anche in ragione degli elevati insediamenti boschivi - aggiunge ancora Guberti - il danno sarebbe elevato». In merito alla trasmissione, la peste suina - pur risparmiando l’uomo ma avendo degli effetti devastanti su alcuni animali - si propaga con facilità. «Basta un terreno contaminato, delle scarpe o degli indumenti sporchi, che vengono “toccati” dal virus perché questo riesca ad annidarsi e proliferare altrove», analizza Piero Genovesi, responsabile del servizio di coordinamento “Fauna selvatica” dell’Ispra. E dunque l’unica misura è quella di bloccare qualsiasi possibilità di trasmissione. «Al momento è necessario analizzare anche cosa sta accadendo fuori dal parco dell’Insugherata - conclude Guberti - per evitare di adottare misure che possano rivelarsi infruttuose». Naturalmente tutti gli esperti dell’Ispra concordano sulla necessità di procedere con un ampio piano di pulizia delle strade e con la racconta capillare dei rifiuti dai bordi dei cassonetti. Perché sì, il contenimento può funzionare, le recinzioni anche ma non possono essere queste le uniche soluzioni percorribili.