Aveva cercato di salvare la mamma e il figlio di quattro anni intrappolati nell’ascensore della metro di Furio Camillo nel caldo luglio del 2015, ma per una manovra sbagliata il piccolo di quattro anni era morto: ora il dipendente Atac Flavio Mezzanotte rischia la condanna a 2 anni e 4 mesi per omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
LA DEPOSIZIONE
In aula l’imputato ha approfittato della discussione per approfondire con più lucidità alcuni aspetti: «Oggi sono più cosciente dei fatti e ci tengo a dire che ho agito perché noi operatori di stazione in casi pericolosi possiamo intervenire da soli senza aspettare i tecnici e lo avevo già fatto alla fermata della metro di Spagna anni fa salvando nello stesso modo una ragazza - sottolinea, ancora provato, il dipendente Atac - Quel giorno ero sicuro che i soccorsi sarebbero arrivati in ritardo perché c’erano scioperi di linea e poi gli addetti della Kone non avevano mai dato riscontro della segnalazione. Non mi sono sentito di lasciare la mamma e il bambino a un caldo percepito di 33 gradi».
E sulla questione contestata di non aver avvisato Francesca Giudice, la mamma del piccolo precipitato, ha aggiunto: «Ero in costante contatto con la signora tramite interfono. Era provata dalla situazione e l’ho avvertita del mio intervento. Quando sono arrivato le ho detto di stare lontana dalla porta». «E poi tutti i miei colleghi sapevano della mia operazione e nessuno mi ha fermato, segno che potevo fare ciò che ho fatto», ha ribadito l’imputato.
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Le parti civili hanno seguito la posizione dell’accusa perché l’intervento dell’imputato è stato «improvvido e intempestivo». E hanno chiesto la condanna e il risarcimento del danno, cifre che poi il giudice deciderà in base alle tabelle previste dal tribunale di Roma. I legali del nonno del bambino hanno invece chiesto una provvisionale di 50.000 euro. Si è costituita parte civile a processo anche l’Atac e la propria compagnia di assicurazione e i suoi legali hanno escluso ogni responsabilità dell’azienda perché «aveva posto tutte le tutele del caso, è inutile rigirare tutta la responsabilità sul datore di lavoro. L’operazione di trasbordo non è mai stata consentita agli operatori di stazione. Il regolamento è sempre rimasto lo stesso». Quello di Mezzanotte, secondo i legali dell’azienda del trasporto romano, è un gesto frutto di impulso personale e generosità.
Per la difesa l’imputato ha operato con le mansioni che era abituato a svolgere e ha agito per stato di necessità. Quindi ha chiesto l’assoluzione e l’estromissione dal processo dell’Atac e della propria compagnia di assicurazione come parte civile perché colpevole di non aver formato a dovere i lavoratori che non erano a conoscenza delle loro esatte mansioni.
«Nessuno dei dipendenti conosceva gli ordini di servizio. Erano tutti impreparati su come agire, la vera responsabile di questo processo è l’Atac. Il signor Mezzanotte ha agito in buona fede e ha svolto una mansione che già aveva eseguito, assistito dai tecnici per telefono, anche altre volte e ricevendo i complimenti dei colleghi», hanno concluso i legali dell’imputato.