L'età dell'assunzione involontaria delle droghe oscilla tra i 9 mesi e i 5 anni. I piccoli la ingeriscono perché i genitori lasciano i residui per casa, dopo essersela iniettata, fumata o sniffata. A Roma cresce questo fenomeno: Il bambino muove i primi passi per l'appartamento. Incuriosito afferra gli oggetti. In certi casi imita, inconsapevolmente, i gesti che ha osservato da mamma o papà. Ecco che sul tavolo è rimasta della polvere bianca. Il piccino appoggia sopra la manina e poi la passa sul viso. L'assimila. Ha assunto, suo malgrado, della cocaina. Il bambino sta subito male, viene portato all'ospedale. I genitori, invece, finiscono iscritti nel registro degli indagati per lesioni colpose e cessione di sostanze stupefacenti.
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GLI INQUIRENTI
È anche questo un segno dei tempi. Un campanello di allarme che, una volta di più, certifica la diffusione di droghe nella Capitale, l'impiego spregiudicato che ormai se ne fa a Roma: di fronte ai propri piccoli, senza nemmeno curarsi di ripulire un tavolino. A fotografare questa realtà sono le inchieste aperte in procura. Se in passato, infatti, si poteva parlare di casi sporadici adesso si assiste ad una certa frequenza. Le indagini, aperte nei confronti dei genitori distratti, sono nel 2019 cinque.
RICOVERI
Nel frattempo anche l'ospedale pediatrico Bambino Gesù si trova a dover fronteggiare questo fenomeno. A loro spetta il compito di intervenire sui piccoli che arrivano in condizioni critiche dopo aver assunto sostanze stupefacenti o alcolici.
«In media i pazienti su cui interveniamo sono otto, nove all'anno. Il numero è abbastanza costante negli ultimi 4 anni», spiega Marco Marano, responsabile del Centro Antiveleni del Bambino Gesù. «Al pronto soccorso viene portato il bambino di 1 o 2 anni che dorme troppo, che cade o non mantiene l'equilibrio oppure che ha una tachicardia», precisa il medico. Immediatamente viene praticato uno screening tossicologico per capire a quale sostanza è stato esposto il piccolo. Nei casi più gravi il baby paziente, sottolinea Marano, può finire «anche in terapia intensiva».
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