È una donna ad incastrare il killer di Diabolik. Prima in una intercettazione punta il dito contro il sicario. Poi ribadisce il concetto in qualità di testimone, quando le forze dell’ordine stringono il cerchio. Lei è la proprietaria della pistola usata, a sua insaputa, per uccidere Fabrizio Piscitelli, narcotrafficante, boss e capo ultras degli Irriducibili, il 7 agosto del 2019 al parco degli Acquedotti a Roma. Il 52enne argentino Raul Esteban Calderon è il runner che punta la pistola alla nuca di Diabolik preme il grilletto e scappa, lasciandosi alle spalle il cadavere di uno dei più potenti criminali, fino a quel momento, di Roma.
LA TELEFONATA
Il passo falso Calderon lo compie in una telefonata, ad ascoltare la conversazione ci sono i poliziotti della Squadra mobile.
IN CARCERE
Prima della donna, che si rivelerà una testimone chiave, il nome del killer spunta in carcere. Gli investigatori ascoltano alcuni dialoghi di Enrico Bennato. L’uomo è il fratello di Leandro Bennato (anche lui detenuto). Leandro è un boss di calibro elevato. È uno che conta nel panorama della mala romana se non altro perché è il nipote di Walter Domizi, detto “il Gattino”, già detenuto per traffico internazionale di droga e un passato da re delle rapine. Bennato, con il suo gruppo controlla un importante quartiere Nord ovest di Roma. L’area è quella di Casalotti - Primavalle. Enrico Bennato è un suo luogotenente. Non ha i gradi di capo come il fratello. Un altro loro fratello, Andrea fu ucciso nel 2008. Ad ogni modo Enrico, in cella, si lascia sfuggire una frase che rappresenta il punto di svolta dell’indagine: in alcune conversazioni, nelle quali chiama Calderon, Francisco, lo indica come il killer di Piscitelli e di «quello sulla spiaggia». E rivela il possibile legame fra gli omicidi: «Se vengono a fare i prepotenti ci rimettono la vita, Diabolik e quegli altri due che hanno sparato a Leandro». Con queste parole Enrico Bennato apre un nuovo scenario per gli inquirenti.
LE IPOTESI
Ci sarebbe, infatti, un filo rosso che lega prima l’omicidio di Diabolik del 7 agosto del 2019 e poi la successiva gambizzazione di Leandro Bennato il 14 novembre dello stesso anno. Il boss, in questo caso, non muore. A morire, invece, sarà Selavdi Shehaj, l’albanese di 38 anni vicino a Diabolik e alla sua “famosa” batteria di picchiatori albanesi. Shehaj viene ucciso a colpi di pistola il 20 settembre del 2020 in una spiaggia di Torvaianica. In altre intercettazioni la gang di Primavalle si lamenta per mala gestione di partite di marijuana da parte degli albaneis. Ad assassinare Selavdi, per la Mobile, sono proprio Enrico Bennato e Calderon, arrestati nei giorni scorsi con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dal metodo mafioso. Diabolik, però, poteva vantare anche altri nemici. Come un potente narcos con cui avrebbe cercato di riappacificarsi senza successo, poco prima di essere ucciso, grazie alla mediazione di Raffaele Purpo, conosciuto come er Mafia. Nessuno, però, ragionano gli investigatori, si sarebbe mai permesso di fare fuori Diabolik senza il permesso della Camorra. Camorra che fino al 7 agosto 2019 aveva sempre protetto l’ultras della Lazio.