Diabolik, il patto con i clan che gli aprì le piazze dello spaccio

Lunedì 16 Settembre 2019 di Camilla Mozzetti e Giuseppe Scarpa
Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik

Cresce all'ombra degli ultras, il Diabolik criminale. Una metamorfosi che ha la sua genesi con il ricatto ordito nel 2006 contro il nuovo patron biancoceleste, Claudio Lotito, e che si evolve con l'arresto, da latitante, il 25 ottobre 2013, con l'accusa di traffico di hashish, mentre a casa di un amico a Casalotti guarda la partita Apollon Limassol-Lazio di Europa League. E infine si completa con Diabolik al servizio del clan Senese per la vendita della droga a Ponte Milvio. In una sola parola camorra, e al soldo di Michele o' pazzo. Ma i gradi di ufficiale del crimine Piscitelli li guadagna anche in virtù del rispetto che gli porta un certo Massimo Carminati. Il Cecato con cui Piscitelli condivide l'ideologia neofascista e che è dietro a molte delle trame oscure della Capitale.  

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RICATTO
Si diceva che Fabrizio Piscitelli di mestiere faceva l'ultras. E in realtà, questa etichetta, gli rimarrà cucita addosso a vita. La panchina su cui è stato assassinato, il 7 agosto, è diventato un altarino per i tifosi violenti di qualsiasi fede calcistica. Ma ciò che aveva distinto Piscitelli, da molti altri suoi colleghi, era stata la capacità di trasformare in lucrosa fonte di guadagno una passione. Tra l'altro, anche la fortuna, aveva giocato a suo favore. Il suo prestigio, di capo della Nord, aveva coinciso con le glorie della Lazio. In dieci anni la squadra si era trasformata. Da quel lontano e primo campionato degli Irriducibili in curva, 1987- 1988, a combattere in serie B contro Barletta e Sambenedettese, il club era approdato nel gotha del calcio a giocare con corazzate come Milan, Real Madrid o Manchester. Il merchandising della squadra e dei gadget, collegati alla curva, volava perciò alle stelle. Ed era in queste circostanze che Diabolik si era distinto.
 



Aveva mostrato una certa capacità, condivisa con l'allora direttivo della Nord, ad inserirsi nel business della promozione dei prodotti legati al tifo calcistico. Anche grazie a una società, in epoca Cragnotti, con le maglie larghe, che foraggiava gli ultras. Un cambio di registro categorico con Lotito che aveva destabilizzato Piscitelli, Fabrizio Toffolo, Yuri Alviti e Paolo Arcivieri. Che si trovarono un'ultima volta uniti nel ricattare il nuovo presidente che, dalle loro mani, aveva levato un giocattolo molto redditizio. La grande estorsione al numero uno biancoceleste, insediatosi il 19 luglio del 2004, era maturata in questo contesto. E si era conclusa con le porte di Regina Coeli che si erano spalancate per Diabolik. 

Tutto aveva avuto inizio nel 2006. Quando un fantomatico gruppo ungherese, capitanato dall'ex stella biancoceleste Giorgio Chinaglia, pretendeva la vendita delle quote del club. Uno pseudo-gruppo imprenditoriale la cui consistenza economica come emergeva dalle carte era nulla: «producevano (il gruppo ungherese ndr) alla Consob tre modelli di bonifico per un importo di 24milioni di euro, falso». Ma il gruppo d'acquisto più che a pagare puntava, a suon di minacce, a convincere Lotito a cedere la società. Il braccio armato era costituito dai 4 ultras delusi dal nuovo corso biancoceleste: Piscitelli, Toffolo, Alviti e Arcivieri, per questo tutti condannati. Così si era scatena una campagna anti Lotito a partire, naturalmente, dalla curva Nord, striscioni e cori contro il presidente, passando per un tam tam radiofonico sempre anti patron e pro gruppo ungherese, fino a delle lettere minatorie recapitate alla signora Lotito e, almeno in una circostanza, ad un tentativo di aggressione fisica allo stesso numero uno del club.

HASHISH
Tuttavia gli anni passati tra carcere e domiciliari non servirono a Diabolik per rimettersi sulla buona strada. A dicembre 2009, da uomo libero, ma daspato per tre anni, si dedicò alla sua nuova attività. Imprenditore dello spaccio. Aveva importato nel febbraio del 2011 una partita di hashish dalla Spagna di un quintale, passando da Civitavecchia. Droga che doveva riversare sulla piazza romana. Non sapeva Diabolik di avere sul collo il Gico della Finanza. Era riuscito a sfuggire inizialmente alle manette a settembre, salvo poi uscire allo scoperto per colpa del suo vecchio amore: la Lazio. Venne arrestato a casa di amici un mese dopo, il 25 ottobre 2013, mentre guardava un match di Europa League. Finirà di scontare la pena a luglio del 2017.

Ma l'ennesimo arresto non aveva indebolito Piscitelli. Anzi semmai, il prestigio di Diabolik, ne usciva rafforzato. La sua reputazione travalicava i confini degli stadi per stabilirsi, definitivamente, nella mala romana. Nel frattempo, a luglio del 2014 e del 2016, la procura aveva messo i sigilli al suo immenso patrimonio (poi in parte restituito) da più di due milioni di euro, tra case conti correnti e marchi, come quello di Mr Enrich, collegata alla gadgettistica laziale. Ma ciò che per gli inquirenti aveva rappresentato la prova del nove, erano state le indagini di Mafia Capitale.

PONTE MILVIO
I più pericolosi criminali parlavano o facevano affari con il capo ultras. Piscitelli, almeno dal 2010, era in affari con Michele Senese (lo conosceva dai primi anni 90) e disponeva di una batteria di picchiatori albanesi, primo fra tutti Arben Zogu condannato nel 2013 per associazione di tipo mafioso. Del gruppo facevano parte anche Orial Kolaj (un pugile), Yuri Shelever e Adrian Coman. La banda, per conto della camorra, controllava una piazza di spaccio nel fortino di Massimo Carminati: Ponte Milvio. «Non lo so come ha fatto - raccontava Ferdinando Mazzalupi - in questi quattro anni (2010 -2014, ndr) ha fatto una scalata (Diabolik, ndr) che non vi rendete conto!». Piscitelli e soci, sotto la benedizione di Senese, avevano preso il controllo di diversi locali commerciali, tra cui il pub Coco loco. «Non si muovono da la - si legge nelle intercettazioni di Mondo di Mezzo - tutto il giorno stanno la, è il loro punto di riferimento, è tutto la». Lo stesso Carminati, intercettato all'epoca mentre parlava con il suo braccio destro, Riccardo Brugia, ne analizzava l'ascesa: si sono «spostati da questa parte», Ponte Milvio per l'appunto. Limitandosi a commentare: «Non sono cose nostre».

NEOFASCISMO
A differenza di quasi un anno Carminati e Piscitelli vengono arrestati. L'ultras biancoceleste però, nel frattempo era anche uscito di galera, a luglio del 2017. Tuttavia la giungla criminale romana si era radicalmente modificata rispetto a quando, quattro anni prima, era finito in cella. I punti di riferimento erano saltati, Il Cecato al 41 bis come l'amico e protettore, Michele Senese e il picchiatore albanese Zogu.
Con la mappa della malavita squadernata Piscitelli aveva trovato sostegno nella solita curva e negli ambienti della destra estrema. Altro territorio su cui Diabolik poteva sempre contare. I neofascisti nella Nord erano di casa, avevano fornito una presunta base ideologica, fondata sulla violenza, che aveva sempre rappresentato il carburante per gli ultras. D'altro canto un riconoscimento da vero camerata, a Piscitelli, era stato concesso al suo funerale il 21 agosto. Il feretro aveva sfilato sotto una foresta di braccia tese, tra i saluti romani di vecchi neofascisti come Maurizio Boccacci e Bruno di Luia. Un simile tributo era stato concesso, lo scorso 12 settembre dopo le esequie, solo al fondatore di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie.
 

Ultimo aggiornamento: 14:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA