Roma, il caso Desirée e l'ultimo oltraggio: spaccio nel palazzo dove morì a San Lorenzo

Mercoledì 15 Luglio 2020 di Adelaide Pierucci
Roma, il caso Desirée e l'ultimo oltraggio: spaccio nel palazzo dove morì a San Lorenzo

Nonostante i sigilli, nel palazzo del crack si trovava droga e giravano ancora gli sbandati. Non è bastato l'ordine di sequestro per ridare decoro all'edificio abbandonato di via dei Lucani, a San Lorenzo, dove nell'ottobre di due anni fa è stata stuprata e lasciata morire di overdose Desireé Mariottini. È emerso ieri nel processo per la morte della sedicenne di Cisterna di Latina che vede imputati per violenza e omicidio volontario 4 ventenni africani, Youssef Salia, Alinno Chima, Mamadou Gara e Brian Minteh. A parlare uno dei pochi testimoni rintracciati. Tra decessi, overdosi e pestaggi, chi sa di Desireé difficilmente potrà riferire.

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SIGILLI INUTILI
Gianluca R., tossicodipendente romano, per essere ascoltato è stato prelevato dai carabinieri e scortato in aula. Si trascinava per costole fratturate, dopo un pestaggio di una decina di giorni fa. «Via dei Lucani era la centrale dello spaccio - ha detto in veste di testimone - eroina, crack, cocaina. La roba era ovunque, te la offrivano per venderla. Ce la passavamo. La potevi consumare da solo o in gruppo. Ma ci sono tornato anche dopo la morte di Desireé. Ed ho trovato gente. Nemmeno con i sigilli è impossibile entrare in via dei Lucani». «Perché ho fatto indagini insieme al mio amico Mirko sulla morte di Desireè? - ha aggiunto - 'Perché era una ragazzina. Volevamo giustizia». E ancora: «Chi mi ha rotto le costole? Non lo dico». Impossibile ascoltare altri testimoni. Narcisa, nigeriana, nello stabile il giorno della morte di Desireé, è stata ridotta in fin di vita da una overdose a poche ore dalla sua deposizione in Corte d'Assise. È in terapia intensiva all'Umberto I.

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«Qualcuno ha tentato di azzittirla?» si sono chiesti in aula. Altri due nigeriani sono risultati irreperibili. È deceduto in carcere, mesi fa, un altro testimone: il bulgaro Nasko Radev. La sua testimonianza si intrecciava con quella di Narcisa. Agli atti restano gli interrogatori resi agli investigatori. Narcisa aveva raccontato di essersi recata a via Lucani alle 13 del 18 ottobre e di aver visto Desirée al senegalese Brian Minteh (detto Ibrahim), distesi sullo stesso giaciglio dove poi è stata trovata morta. C'erano anche altri uomini. Narcisa aveva visto Desireé essersi allontanata e di aver raccolto dopo la sua morte le confidenze di una ragazza di nome Muriel ma anche di Nasko, entrambi nell'edificio. Muriel le aveva raccontato che a Desirée era stato somministrato «un mix di gocce, metadone, tranquillanti e pasticche» da coloro che l'avevano stuprata e che questi l'avevano indotta a bere facendole credere che si trattasse di metadone. Nasko invece aveva raccontato che Desirée quel giorno era «disperata perché nessuno era disposto a cederle droga», e visto che non aveva soldi con cui pagarla, aveva seguito Youssef all'interno del container. Dopo circa un'ora, un'ora e mezzo, vedendo il ghanese uscire di lì, Nasko aveva raccontato di essere entrato e di aver trovato la ragazza nuda, per terra, e di averle detto: «Piccola alzati, andiamo». Lei gli avrebbe risposto: »Dopo, dopo...», mentre un altro giovane di colore sembrava aspettare il suo turno. Ancora Narcisa: «Ricordo che il bulgaro si è messo a piangere perché si sentiva in colpa per la morte della ragazza. Lei gli aveva chiesto di non lasciarla da sola e lui invece se n'era andato mandandola a quel paese». Nell'udienza di ieri è stato chiesto il dissequestro del palazzo. La Corte lo ha respinto.
 

 

 

Ultimo aggiornamento: 07:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA