Su oltre seimila ristoranti della Capitale la metà ha deciso di non aprire durante il minilockdown annunciato ieri dal premier Giuseppe Conte. «Troppo oneroso - spiega il presidente della Fipe capitolina, Sergio Paolantoni - continuare l’attività fino alle 18, quando il 70 per cento degli incassi si registra la sera».
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LA PROTESTA
Complice il cielo grigio, ieri i romani non hanno affollato i ristoranti della città. Alcuni non hanno aperto, impegnati a sistemare e a pulire le cucine e a mettere in sicurezza gli alimenti, visto il lungo stop. Davide Buccioni, titolare di alcuni locali a Prati, in risposta al governo ha fatto sapere via Facebook: «Questa sera (ieri sera, ndr) offrirò ai miei clienti storici la cena. Io, per questo governo, il carne o il pesce non lo butto». Aggiunge Paolantoni: «Mi ha chiamato un nostro iscritto, che ha vari ristoranti e bar all’Eur: mi ha detto, con lo smart working che ha limitato la presenza in molti uffici della zona, che senso ha tenere aperti a pranzo. Così è impossibile recuperare le risorse per pagare i dipendenti e lui ne ha cinquanta». Problema che si pone lo stesso Paolantoni per le sue stesse attività: «Finora ho anticipato io la cassa integrazione, adesso non so se posso più permettermelo». Il 28 la Fipe scende in piazza per chiedere al governo di allungare l’orario di apertura. «Anche perché al ristorante va gente che per lo più vive assieme. Sarà una manifestazione pacifica». Ma già ieri alcuni esercenti si sono dati appuntamento a piazza del Parlamento per protestare. «Presidi spontanei come questi - dice Valter Giammaria, leader romano della Confesercenti -, ce ne saranno molti in questi giorni. Chiudere i ristoranti a cena avrà ripercussione anche sugli altri negozi». Mentre dalla Cna Stefano Di Niola chiede che «i fondi di ristoro arrivino subito e che sblocchino le casse integrazioni». L’assessore capitolino al Commercio, Carlo Cafarotti, vedrà tra oggi e domani le categorie, mentre in Regione stanno studiando se possono ancora una volta fornire liquidità alle aziende in crisi.