Il dolore e la disperazione. Paolo Genovese voleva a tutti i costi comunicare con loro, con i genitori di Gaia e Camilla. Voleva incontrarli. Spiegare che il lutto riguarda anche la sua famiglia, condividere l'angoscia che l'ha stravolta. Ma ha compreso quanto la scelta di quei genitori di rinviare l'incontro fosse giusta, opportuna, perché lo strazio ha anche misure diverse. E la sua sofferenza non conosce il tormento che non avrà più tempo. Perché il suo strazio non è paragonabile a quello di chi, in un istante, ha perso tutto. Gaia e Camilla non ci sono più. Pietro è vivo, anche se la sua vita non sarà mai più la stessa. Eppure non è nulla: quel ventenne, che dovrà fare i conti con il peso della responsabilità, non sarà più quello di prima, Ma è vivo. E la vita è tutto.
Il regista, che ha scrutato nelle pieghe dell'animo umano, non ce l'ha fatta a rimanere distante, a non dire quanto profondamente si sentisse protagonista del lutto.
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Fino a dieci giorni fa, quei genitori, avrebbe potuto incontrarli per caso, condividere con loro ansie e preoccupazioni per il futuro incerto dei figli quasi coetanei. Non è andata così. I destini di quei ragazzi si sono incrociati in una notte di pioggia alla vigilia dell'ultimo Natale.
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