Il Teatro vuole tornare a vivere dicendo la sua sul palcoscenico: «È ora che torni la luce»

Martedì 23 Febbraio 2021 di Katia Ippaso
L'attrice Nancy Brilli al Teatro Brancaccio

Un anno di Coronavirus con il palscoscenico buio e senza interpretazioni per chi fa l'attore è davvero "insopporatbile". Gabriele Lavia ha sfondato la parete muta del teatro.

Dopo un anno dal primo lockdown che tra le prime misure di sicurezza aveva chiuso i luoghi della prosa, la sua figura familiare si staglia in controluce, all’interno del foyer del Teatro Vascello. Con un sistema di amplificazione, la voce dell’attore arriva in strada, avvolgendo via Carini con i versi della “Divina Commedia”. «Comincio con “Nel mezzo del cammin di nostra vita” e finisco con “l’amor che move il sole e l’altre stelle”» ironizza Lavia. «Adesso vi recito tutte e tre le cantiche dantesche». Intanto comincia con i versi dell’Inferno, che raccontano i primi passi del cammino di conoscenza. 

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Il folto pubblico che si è raccolto davanti al Vascello, è evidentemente emozionato, felice (ormai ci siamo abituati a leggere gli stati d’animo anche dietro le mascherine). Il decano del teatro italiano ha accolto molto seriamente l’invito di Unita - Unione Nazionale Interpreti del Teatro e dell’Audiovisivo - a fare “luce sul teatro”. Ieri sera, per due ore, dalle 19.30 alle 21.30, simbolicamente si sono illuminate le facciate di più di 630 teatri italiani


A Roma, oltre al Vascello, all’iniziativa “Facciamo luce sul teatro” hanno aderito il Teatro Argentina, l’Auditorium-Parco della Musica, il TeatroBasilica, il Brancaccio, il Sala Umberto, l’Ambra Jovinelli, il Tordinona, lo Spazio Diamante, il Teatro di Tor Bella Monaca, l’Off-Off Theatre, il Teatro Biblioteca Quarticciolo e molti altri. 
«Non chiediamo che si riaprano i teatri a tutti i costi, ma che si faccia tutto quello che è possibile fare», dichiara Paolo Calabresi, in prima linea tra i fondatori di Unita. «In Germania stanno cominciando a parlare di un pass che permetta a coloro che possono dimostrare di non aver contratto il virus o che siano stati vaccinati, di accedere ai luoghi della cultura. Ecco, sarebbe bello che noi battessimo in velocità la Germania non soltanto nelle competizioni calcistiche. Draghi ha detto che dovremmo essere i primi in Europa. E noi siamo disposti ad aiutarlo». 


Di fronte al Teatro Argentina magnificamente illuminato, Calabresi si stringe accanto ai suoi compagni di “resistenza creativa” per affermare il diritto non solo dei noti, ma anche degli ignoti. I tanti lavoratori dello spettacolo che i provvedimenti restrittivi causati dalla pandemia hanno condannato alla fame, e qualche volta persino alla sparizione.


È notizia di ieri il suicidio di un tecnico dello spettacolo, il veneto Omar Rizzato, organizzatore di eventi, da un anno senza lavoro. «È sicuramente il sintomo di un malessere che investe il nostro settore. Siamo tutti infinitamente più soli, non solo noi attori, ma tutti i lavoratori dello spettacolo». In Italia, sono 327.000, nel Lazio 15.000 i lavoratori che vivono di questo: attori, tecnici, registi, costumisti, scenografi. «Io sono fortunata, perché non lavoro solo in teatro» commenta Fabrizia Sacchi, che di Unita è vicepresidente. «Ma parlo soprattutto per gli spettatori, che ci stanno manifestando in tutti i modi il loro affetto. Il teatro non può più essere rimossso». Fabrizio Gifuni è evidentemente contento del grande risultato ottenuto dal lavoro fatto: «È evidentemente un’occasione di festa. Ma Il lavoro è appena cominciato». Massimo Popolizio applaude tutti gli spettatori che si sono presentati all’appuntamento. «Non ci hanno convinto che è meglio stare di fronte alla televisione. Bisogna preoccuparsi anche della salute mentale degli italiani, e il teatro sa come fare». 

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