Coronavirus a Roma, contagio al San Giovanni: pazienti da trasferire

Venerdì 6 Marzo 2020 di Camilla Mozzetti
Coronavirus a Roma, contagio al San Giovanni: pazienti da trasferire

La notizia è iniziata a circolare nel primo pomeriggio: una donna ricoverata nella Terapia intensiva del reparto di Cardiologia al San Giovanni è morta e il primo tampone rinofaringeo per accertare il contagio da Covid-19 è risultato positivo. Immediatamente è scattato l'allarme nell'ospedale perché ora arriva il difficile: ricostruire con esattezza come il virus è entrato in reparto.

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GLI SCENARI
Uno scenario al momento complicatissimo da delineare con esattezza perché la donna è stata ricoverata al San Giovanni lo scorso 17 gennaio, ben prima che il coronavirus si palesasse e per 46 giorni non ha vissuto un solo reparto: da Cardiologia infatti è stata trasferita anche nell'Utic, l'Unità di terapia intensiva cardiologica, ha sostenuto analisi ed esami dentro la struttura ospedaliera. Insomma ha vissuto diversi ambienti, molti anche delicati. In quasi due mesi, inoltre, la donna - romana di 87 anni - ha ricevuto, come è ovvio che fosse, numerose visite di parenti e familiari stretti, alcuni dei quali residenti al nord Italia.
Per i sanitari e anche per la Regione Lazio è dunque dirimente ricostruire la sua catena di trasmissione da Covid-19 quanto meno per poter scongiurare l'esplosione di casi secondari nei prossimi giorni dentro al San Giovanni. Due gli scenari possibili, senza fare allarmismi, che potrebbero chiarire il contagio. Il primo: la donna viene ricoverata ed ha già in incubazione il virus. L'ipotesi al momento è stata scartata perché si sarebbero dovuti manifestare altri casi in quasi due mesi anche se è bene ricordarlo: il Covid-19 può essere asintomatico. Il secondo scenario riguarda i contatti della donna avuti in queste settimane, sia con il personale medico infermieristico sia con i parenti. Ricordiamo che la donna entra al San Giovanni ben prima che esplodessero i focolai in Lombardia e Veneto. Nessun al 17 gennaio dentro l'ospedale poteva immaginare l'insorgere di un'epidemia che dalla Cina si è manifestata in Italia a partire dalla fine gennaio. Chi ha visto la donna? Quali e quanti parenti sono andati a trovarla? In quali condizioni si trovano al momento? Le verifiche sono partire anche per loro.

LE CAUSE
Come ha fatto sapere la Regione Lazio la paziente «È deceduta con il Covid-19 e non a causa dello stesso». Tutto è iniziato a cavallo tra la notte di mercoledì e ieri mattina quando le condizioni della 87enne sono peggiorate. Da qui, considerata la crisi respiratoria che aveva manifestato, è stato svolto il test che è risultato positivo, ma poi la donna è morta e quindi non si è proceduto con il secondo tampone. Il suo resta comunque il primo decesso in un ospedale romano che coinvolge il coronavirus. Ed è per questo che l'azienda sanitaria ha iniziato fin da ieri a ricomporre la mappa dei contatti isolando - a scopo precauzionale - tutti i dipendenti che, pur essendo al momento asintomatici, sono entrati in contatto con la paziente in un arco temporale molto ampio. Al momento si tratta di una trentina di persone. Ci sono tuttavia una serie di criticità a tal punto che il comparto sindacale del San Giovanni ha già chiesto un incontro ufficiale alla Regione.

LE CRITICITÀ
Il personale infermieristico, soprattutto quello della Terapia intensiva - parte del quale allontanato ieri dal lavoro - è altamente specializzato e dunque difficilmente rimpiazzabile nell'arco di poche ore.

Restano invece i pazienti: una decina quelli attualmente ricoverati nell'Utic cardiologica che potrebbero esser trasferiti anche in altre Terapie intensive dell'ospedale se non in strutture diverse giacché le indagini al San Giovanni vanno oltre il caso del decesso della 87enne. Nella struttura è infatti ricoverato anche un uomo - transitato per il policlinico di Tor Vergata - con problemi respiratori. Si trova nel reparto di Pneumologia ed è già risultato positivo al primo test sul Covid-19, mentre i casi ospedalieri aumentano: 14 nuovi episodi tra Roma e il Lazio che interessano anche i nosocomi Casilino, Sant'Andrea, San Filippo Neri e Santo Spirito.

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