Coronavirus Roma,l'odissea della prima malata romana: «Dimessa ma ora di nuovo positiva»

Martedì 7 Aprile 2020 di Alessia Marani
Coronavirus Roma,l'odissea della prima malata romana: «Dimessa ma ora di nuovo positiva»

Quel che è successo a Stefania Giardoni, cinquant'anni, ex commessa di un grande magazzino della Magliana, ha il sapore della beffa e i contorni dell'odissea che chi è malato di Covid-19 rischia di dover affrontare. Stefania è stata ricoverata allo Spallanzani, trasferita in un centro Covid, dimessa e mandata a casa venerdì dalla famiglia dopo due tamponi negativi e dopo due giorni, si trova di nuovo ricoverata in un altro ospedale perché, si scopre, essere ancora positiva. Il suo incubo, insomma, dura da quasi due mesi. Se il Covid-19 non è ben curato fino in fondo può riacquistare virulenza, soprattutto potrebbero servire più tamponi negativi prima di potere certificare la guarigione effettiva, dal momento che potrebbe sfuggire all'esame una carica del virus molto labile.

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LA VICENDA
Stefania si era ammalata a febbraio, i primi sintomi le erano comparsi intorno al giorno 20, poi il 9 marzo la corsa disperata e il ricovero allo Spallanzani dove ha capito di essere la prima romana ad avere contratto il coronavirus senza link epidemiologici con il Nord Italia. Il 22 marzo, finalmente, le sue condizioni migliorano al punto che gli specialisti dell'Istituto di malattie infettive, decidono per il trasferimento al Covid hospital di Casalpalocco. «I medici, prima di salutarmi, mi spiegano che non avevo più bisogno di assumere farmaci, che piano piano sarei guarita da sola perché il mio corpo stava reagendo bene e sviluppando gli anticorpi - racconta la cinquantenne mamma di due figli dal suo letto nel reparto Marchiafava del San Camillo - mi dissero che sarebbe stata lunga e di avere pazienza». Stefania fa due tamponi nei primi giorni di degenza a Casalpalocco, entrambi con esito positivo. «Il virus si sta stava indebolendo ma era sempre presente», dice Stefania.
 

 


LE CRISI
Poi altri due tamponi il 30 marzo e il 1 aprile che indicano, finalmente, la negatività. «Ovviamente ero contentissima - spiega - ma sentivo che qualcosa non andava bene e infatti dissi subito agli infermieri che avevo un forte mal di testa. In pratica in quei giorni ho avuto delle crisi ipertensive, con la minima a 115 e una sera mi hanno messo la flebo». Tuttavia la tac mostra una buona condizione generale dei polmoni, le analisi sembrano a posto. «Il 3 aprile mi dimettono dopo avermi dato del paracetamolo - ricorda ancora Stefania - si raccomandano di usare la mascherina in casa soprattutto per me che ho i polmoni indeboliti. La mia convivenza con il virus era finita. In realtà no». Domenica l'ex commessa ha l'affanno, le si addormentano le labbra, le tremano le palpebre, la pressione è sempre alta. Corre, portata dal compagno, al pronto soccorso. Al San Camillo la isolano subito, le rifanno tac e analisi.

I FARMACI
Soprattutto le rifanno il tampone: positivo. «Scopro lì parlando con la dottoressa che negli ultimi giorni al Covid hospital mi era stata somministrata idrossiclorichina che io credevo fosse eutirox. Non so se questo ha influito sul mio decorso, fatto sta che dal Lancisi sono stata trasferita al Marchiafava». La donna non è l'unica a combattere con il nuovo virus che sembra avere tempi lunghissimi prima di abbandonare il corpo umano.
La iena Alessandro Politi l'altro giorno ha confessato di essere positivo ormai da più di trenta giorni. «Alla luce di tutto ciò - si chiede adesso Stefania - vorrei capire come mai non è previsto che persone negativizzate ma con il rischio di avere ancora una bassa virulenza non vengano indirizzate verso un percorso di isolamento in strutture ad hoc e sotto sorveglianza sanitaria per impedire altri rischiosi strascichi.
Tra l'altro: non è meglio fare anche il test sierologico dopo i tamponi negativi per essere certi che il virus sia stato debellato?».

Ultimo aggiornamento: 10:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA