Roma, l'infermiere 118: «Pronto a lasciare la Capitale per aiutare i colleghi al Nord»

Martedì 31 Marzo 2020 di Alessia Marani
L'infermiere del Nursind, Giuliano Onori

Giuliano Onori ha 51 anni. Dal ‘95 indossa la divisa da infermiere e dal 2004 presta servizio sulle ambulanze dell’Ares 118, l’azienda sanitaria per l’emergenza, nella primissima linea del soccorso cittadino. Non ha esitato un attimo e ha subito risposto al bando della protezione civile nazionale per inviare professionisti della sanità al Nord, per prestare servizio negli ospedali e nelle aziende sanitarie più colpite. 
«Sono pronto a smettere anche i panni di sindacalista del Nursind, qualora venissi chiamato. Ne ho parlato anche in famiglia, sono pronto».

Onori che cosa l’ha spinta a partecipare?
«L’emergenza è il mio lavoro, sono stato anche ad Amatrice per il terremoto nella squadra dei volontari del 118. Non si può stare a guardare mentre i colleghi al Nord stanno dando l’anima. Mi sono sentito in dovere di rispondere al bando».

Anche a Roma, però, il Covid-19 fa paura.
«All’improvviso ci siamo ritrovati come catapultati in un film. Sto vivendo situazioni finora solo lette nei libri o nei manuali. Ma fortunatamente qui nella Capitale non c'è lo stesso tsunami che ha travolto il Settentrione, per cui ho dato la mia disponibilità ad andare. Sono un infermiere "vecchia scuola" ma con due master nella gestione delle maxi-emergenze, nel 118 siamo tutti professionisti con grande esperienza e dobbiamo metterla a disposizione di tutta la comunità».

Le domande sono state tantissime...
«Più di novemila e saranno selezionati in cinquecento. La mia richiesta è per salire a bordo delle ambulanze, la mia vita di tutti i giorni, ho scelto di essere sindacalista lavorando a tempo pieno e sul campo perché così le problematiche si vivono in prima persona e si riesce a risolverle meglio. Ma dove serve, se mi chiamassero, sono disponibile, anche in pronto soccorso se utile». 

Come è cambiato oggi il suo lavoro?
«Noi tutti abbiamo studiato e siamo pronti per una maxi-emergenza, ma questa è davvero unica, inedita. Il tuo nemico è invisibile e tu stesso potresti trasformarti in un’arma letale per chi ti sta accanto o per chi soccorri, e viceversa. Per cui usiamo la massima attenzione, la più alta concentrazione, ogni errore può essere fatale». 

La sua famiglia che pensa della sua scelta?
«Mia moglie è infermiera in terapia intensiva al San Giovanni ed è d’accordo, prima che come infermiere, come individui, sia lei che io, guardiamo i nostri due gemelli di 13 anni e siamo sempre più convinti che aiutare chi è in difficoltà è la nostra vita».

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