Roma, anziana scappò dal reparto e fu ritrovata morta: ospedale condannato

L’anziana si allontanò dal S. Eugenio, il cadavere rinvenuto in un campo. Maxi-risarcimento da 1,3 milioni ai familiari

Mercoledì 1 Dicembre 2021 di Alessia Marani e Marina Mingarelli
Anziana scappò dal reparto e fu ritrovata morta: ospedale condannato

Fuggì dal Sant’Eugenio in piena notte, con il pigiama ancora indosso. Nessuno se ne accorse o tentò di fermarla. Non solo. Del suo allontanamento parenti e polizia vennero avvisati dai medici con grave ritardo. Fragile e disorientata, Ubalda Monnati, 79 anni, fu rinvenuta cadavere dopo una settimana in un campo della Cecchignola, distante qualche chilometro dal nosocomio dell’Eur. A sei anni di distanza il tribunale civile di Roma ha condannato la Asl 2 e l’istituto di vigilanza privata incaricata della sicurezza, a un maxi-risarcimento in solido di un milione e trecentomila euro a favore degli eredi dell’anziana.

Per il giudice del Tribunale civile di Roma si sarebbe configurata una «violazione degli obblighi di custodia a protezione da parte dei convenuti in ambito ospedaliero» e tale violazione riguarderebbe anche «gli obblighi accessori del nosocomio violativi dell’affidamento della donna al personale a fini protettivi strumentali alle cure». 

 

LE MOTIVAZIONI

Il giudice nel dispositivo di condanna fa riferimento al cosiddetto «contratto di spedalità» che intercorre tra struttura sanitaria e paziente. La norma prevede l’obbligo dell’ospedale di sorvegliare il paziente in modo «adeguato» rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che questi possa causare danni a terzi o subirne. E non sarebbe sufficiente la condizione che la signora non fosse una degente psichiatrica o in regime di Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) per esimere il personale dalle responsabilità. Per il tribunale, infatti, si trattava di una donna anziana e dunque fragile, sotto effetto di un blando sedativo, «non in condizioni fisiche ottimali (...) la quale poteva avere avuto un senso di spaesamento prevedibile in anziani ricoverati e per il quale era necessario un controllo costante e attento». 

Insomma, a Ubalda, secondo il giudice, doveva essere assicurata una congrua attenzione oltre alle cure prettamente mediche. Ma che cosa successe in quell’estate del 2015? La signora Monnati entrò in pronto soccorso l’11 agosto per un «malessere in diabetica ipertesa». Alla mezzanotte e 38 minuti del 13 agosto la telecamera posta davanti all’ingresso principale di via dell’Umanesimo la inquadra mentre, con la camicia da notte indosso, sfila davanti al gabbiotto dei vigilantes senza che nessuno muova un dito. Una «anomalia», si legge nella sentenza di condanna, «che avrebbe spinto anche un cittadino medio a un intervento di protezione». Della sparizione di Ubalda il personale sanitario si sarebbe accorto con colpevole ritardo, la vigilanza sarebbe stata allertata dopo due ore e la polizia solo alle 3,40. Il corpo dell’anziana venne ritrovato il 20 agosto.

«Si tratta di una sentenza storica in Italia - afferma l’avvocato Francesco Maria Graziano che con i colleghi Marialetizia Giacobelli, Rina Izzo e Gennaro Gadaleta ha seguito la vicenda - un punto di svolta per casi simili perché riconosce il dovere contrattuale dei medici e di una struttura sanitaria di vegliare sui loro pazienti in condizione di fragilità». Contro la sentenza di primo grado, Asl e Italpol potranno fare appello. Intanto, i familiari di Ubalda si dicono «molto soddisfatti della sentenza che ha permesso di fare giustizia e chiudere una vicenda dolorosa per la nostra famiglia. Vorremmo però che questa vittoria fosse importante non solo per noi ma per tutte le famiglie che potrebbero trovarsi nella nostra stessa situazione: drammi del genere non debbono più accadere». 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA