Roma, le torture (mortali) della mala: fiamma ossidrica, catrame e aghi nelle unghie. Ecco i metodi del boss Bennato

I retroscena dei sequestri organizzati per ritrovare 107 chili di cocaina rubati

Domenica 16 Aprile 2023 di Valeria Di Corrado e Valentina Errante
Roma, le torture (mortali) della mala: fiamma ossidrica, catrame e aghi nelle unghie. Ecco i metodi del boss Bennato

Hanno spalmato la catramina sulla pancia e le gambe del prigioniero, nudo, e poi l’hanno sciolta con la fiamma ossidrica. Tutto questo per costringerlo a fare i nomi di chi aveva rubato i 107 chili di cocaina che l’uomo aveva il compito di custodire, per conto dell’organizzazione di narcotrafficanti di cui faceva parte, all’interno di un appartamento alla periferia ovest di Roma. Neanche la fantasia degli sceneggiatori della serie tv “Narcos”, ispirata a Pablo Escobar e ai cartelli colombiani della droga, è arrivata a partorire simili forme di tortura. A ricostruirle, in un resoconto da brividi, è il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia che ha convalidato il fermo di Leandro Bennato, eseguito giovedì dai carabinieri del nucleo investigativo, e ha disposto che resti recluso a Regina Coeli.

Il 44enne romano, rivale dell'ex capo ultrà della Lazio Fabrizio Piscitelli (tanto che era stato indagato, e poi archiviato, come uno dei tre presunti mandanti dell’omicidio di Diabolik), è finito di nuovo in carcere: questa volta con l’accusa di essere il mandante di ben quattro sequestri di persona a scopo di estorsione avvenuti sotto la sua «regia», uno di seguito all’altro, tra novembre e dicembre scorsi, nella Capitale.

«Non hai visto ancora nulla»

Gualtiero Giombini, l’ostaggio ustionato con la fiamma ossidrica, non è sopravvissuto: i pm della Dda di Roma ritengono plausibile che il 71enne (detto “Vecchio”) sia morto l’8 dicembre all'ospedale Grassi di Ostia a causa delle sevizie subite per una settimana mentre si trovava segregato in una baracca, «privato degli abiti nonostante la temperatura rigida e ripetutamente picchiato». Giombini era stato liberato il 16 novembre, dopo aver fatto il nome di Cristian Isopo, a sua volta rapito e portato in auto incappucciato nella stessa baracca, dove per 12 ore era stato tenuto legato mani e piedi a una sedia con delle fascette da elettricista, mentre gli conficcavano degli aghi sotto le unghie. Il 23 novembre arriva in chat un messaggio a Isopo da “Mady33” (pseudonimo dietro il quale si nasconde, secondo i magistrati, Leandro Bennato): «Te lo ricordi Vecchio? Sta male. Fidate che ti è andata de lusso. Credime. Sei pure fortunato... tanto. Credime. E non hai visto nulla, zero».

«Sentivo lamenti animali»

Effettivamente Isopo aveva assistito al trattamento riservato a Giombini: «Gualtiero è stato sequestrato e torturato dalle persone che poi hanno sequestrato anche me - ha riferito ai pm Erminio Amelio e Giovanni Musarò nel suo interrogatorio - L’ho visto con i miei occhi: era ridotto malissimo, in particolare aveva ustioni sul ventre e sulle gambe, procurategli usando una fiamma ossidrica per sciogliere guaine bituminose che poi gli appoggiavano sul ventre e sulle gambe nude. Ho visto con i miei occhi le ustioni, lui era in mutande. Era irriconoscibile, aveva il viso gonfio, era evidente che era stato anche pestato (...) Sentivo dei lamenti animali, soffriva come un cane». Da questo, e molto altro, si evince per il gip Giuseppe Coniglio, «l’indole criminale del Bennato, inserito in un contesto criminale di primissimo piano», che ha mostrato «di avere la disponibilità di armi, enormi quantitativi di sostanza stupefacente e di avere posto in essere azioni particolarmente cruente». 

«Non ci mollano finché non la recuperno»

Isopo, che aveva organizzato il furto dei 107 chili di cocaina in via della Cellulosa 7 (nel quartiere Casalotti) insieme a un carabiniere, due uomini misteriosi e due donne sinti (una delle quali legate al militare da una relazione), «ignorava il fatto che Leandro ne fosse il proprietario». «Ho detto non lo sapevo, agente! Se lo sapevo non è che gliela facevo rubà quella roba», ha spiegato agli investigatori della Squadra mobile. Per questo, dopo essere stato torturato e aver ridato a Bennato metà dello stupefacente rubato, Isopo aveva fatto pressioni su una delle due sinti, Autilia Romano (detta Katia), affinché restituisse la sua parte: «Io lo capisco che te la vuoi tenere la differenza, ma è andata male purtroppo e non ci mollano finché non la recuperano».

«La gente non si tiene le prepotenze»

Lo stesso Bennato ribadisce a Isopo che la donna non ha via di scampo: «Dove va? Manco il più coatto di città la può difende, credime. Come pensa di farla franca, lei o chi per lei? La gente ha passato i guai solo per una parola. Pensa così... Ti pare che la gente si tiene le prepotenze? Pensa quante persone conosco... E mica solo qui. Lei è 0,1. E pensa che io so 100000000000. È una caccola mia». La moglie di Isopo era terrorizzata: «Risolvi sto casino. Perché altrimenti va a finire male se prendi tempo... Questi non scherzano se dici altre cazzate sta sicuro che non torni più». Il gruppo degli 8-9 sequestratori, guidati dalla regia di Bennato, effettivamente fa sul serio e quando rapisce la cugina della Romano, scambiandola per lei, la sinti si allarma: «Vi siete sequestrati una ragazzina di 20 anni, ha 25 anni, con il cuore malato e un bambino che sta male da solo dentro casa», e per fare capire la tragicità della situazione inoltra il messaggio vocale del piccolo che piangeva: «Voglio mamma!». Poi, davanti ai carabinieri, la donna ammetterà: «Non sarei mai andata in mezzo questa gente, c’è la morte».
 

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 19:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA