Frane, terremoti e alluvioni a Roma: dal Tiburtino ai Castelli, ecco la mappa del rischio

I dossier di esperti e Protezione civile: pericolo allagamenti per 300mila romani. Le zone più esposte agli smottamenti: Monte Mario, Balduina, Tolfa e Ciociaria

Lunedì 28 Novembre 2022 di Giampiero Valenza
Frane, terremoti e alluvioni: dal Tiburtino ai Castelli, ecco la mappa del rischio a Roma

Azzerare un rischio è impossibile, ma la conoscenza dei fattori che lo amplificano è fondamentale per ridurlo il più possibile. L’Italia a livello geologico è tra le zone più delicate, e complesse, dell’intera Europa. Il Lazio non ne è da meno, come segnala ogni anno la Protezione civile: quattro vulcani quiescienti, l’Appennino che passa nel mezzo, fiumi come il Tevere, il Liri e l’Aniene. E tutto questo si intreccia con l’impatto dell’uomo. E così i fiumi hanno difficoltà a straripare in caso di piena senza far danni alle case, i monti ormai nudi di alberi hanno un terreno più fragile e tutto cade giù. Senza contare, poi, i terremoti: il sisma che ha colpito Amatrice nel 2016 ne è un esempio.

Fare una mappa del rischio, dunque, è cosa particolarmente complessa perché si intrecciano diversi fattori e perché poi, ora, a metterci lo zampino c’è pure il cambiamento climatico. Le piogge più violente e improvvise di sicuro non contribuiscono alla tenuta dei territori e la protezione civile regionale si trova ad essere sempre più in prima line su diversi fronti. Gli ultimi casi di alluvioni, avvenuti questa settimana, hanno toccato la foce del Tevere. Secondo una stima del Campidoglio e dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale sono circa 300.000 i romani a rischio allagamenti. Altri due sono i punti più critici: a Nord della città e, in Provincia, nell’area Tiburtina (nella memoria di molti ancora ci sono le scene dell’esondazione dell’Aniene ad Albuccione nel 2008). 

LE FRANE

A Nord i Monti della Tolfa, a Sud Cassino e Sora. E poi i Castelli Romani e nella Capitale la collina di Monte Mario, Monteverde e Balduina sono le zone tra quelle più a rischio di frane. Il terreno reso più fragile dai cambiamenti del clima e dall’impatto dell’uomo prestano il fianco al rischio dei crolli.

I SINKHOLE

Dalla superficie si vedono buche che diventano voragini. Gli esperti li chiamano sinkhole, che possono nascere sia naturalmente sia (come più spesso a Roma), per mano dell’uomo. Di questi è stato l’Ispra a farne un censimento. «Le zone più colpite sono quelle di Casilina, Tuscolana, Nomentana e Prenestina. Nascono sia per vecchie cave sia per antichi ipogei», spiega Giancarlo Ciotoli, studioso dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr che ha contribuito al lavoro.

UN TERRITORIO VIVO

Dalla superficie è difficile vedere (e analizzare) un sottosuolo particolarmente variegato: nel Lazio ci sono quattro vulcani quiescenti (quelli degli apparati Vulsini e il Sabatino, il Laziale, quello Cimino), oltre al piccolo distretto vulcanico della Media Valle Latina, che hanno portato a rocce particolari come il tufo. L’acqua minerale e il terreno particolarmente fertile sono due degli effetti positivi derivati dai vulcani. Ma ci sono anche due note negative da considerare: l’emissione di radon (un gas radiattivo che naturalmente si forma nelle rocce e che, se respirato a lungo, può essere causa di tumori) e le emissioni di anidride carbonica e monossido di carbonio: dal sottosuolo possono causare morie di bestiame.

Ultimo aggiornamento: 10:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA