Alla Farnesina, in Campidoglio o tra ambienti vicini al comitato organizzatore di Roma Expo 2030 la parola d’ordine è «vigilare» nella corsa che vede la Città eterna contrapposta alla saudita Riad, alla coreana Busan e all’ucraina Odessa.
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GLI EQUILIBRI
Il Bie è composto da 160 Paesi. Per scegliere la sede dell’Expo il “sistema” elettorale prevede tre votazioni (prima si selezionano tre città, poi due, infine una) che finisce per acuire e drammatizzare trattative nelle quali si sovrappongono diplomazia e accordi economici. Si decide a fine 2023 e Riad avrebbe fatto sapere informalmente di avere a disposizione già una sessantina di voti: numeri spropositati, anche se ha già incassato l’appoggio di Francia e Sud Africa (ci sono dubbi invece su un via libera cinese) starebbe molto più indietro. Ma più avanti di Roma e Busan. Certi sono alcuni accordi di cooperazione e commerciali con Cuba, il Pakistan, lo stesso Sud Africa o il Sudan. E persino con la Corea.
A Roma qualcuno ricorda ancora che cosa successe nel 1997, quando la delegazione italiana al Cio, al Comitato internazionale olimpico, arrivò all’assemblea decisiva convinta che i Giochi del 2004 si sarebbero tenute nel Belpaese e invece finirono per ragioni ancora poco comprensibili in Grecia. Parlando informalmente con chi sta portando avanti la candidatura capitolina per Expo 2030 c’è ottimismo, perché il progetto presentato al Bie dovrebbe essere quello più bello e più aderente agli aneliti di ecosostenibilità chiesti dal Bureau anche per il post manifestazione. I padiglioni, dopo il 2030, diventeranno centri di ricerca. Si ripete con la stessa convinzione che la maggioranza dei Paesi del Bie non ha ancora deciso e di essere ancora in partita grazie alla capillare rete diplomatica italiana nel mondo e a progetti di cooperazione, dove abbiamo un’esperienza più che cinquantennale.
LA STRATEGIA
Durante l’ultima assemblea al Bureau, gli italiani (con in testa il sindaco Gualtieri) hanno sottolineato l’importanza etica dell’esposizione, rivendicando sia l’importanza del rispetto dei diritti umani e di quelli sindacali. Un riferimento neppure tanto velato alle polemiche scoppiate in Qatar per l’organizzazione del Mondiale. Per la cronaca, questo argomento non peserà più di tanto nelle scelte dei Paesi componenti del Bie (molte non sono democrazie consolidate), ma più decisivo sarà giocare sulla capacità del Paese di fare sistema. Il governo Meloni ha già dato il suo pieno appoggio e non solo sulla “campagna estera”. Intanto ricorda Paolo Glisenti, commissario generale dell’Italia a Expo Osaka-Kansai 2025: «Quello che faremo nell’anno che verrà, la preparazione del progetto italiano e del padiglione, sarà un elemento che influenzerà il voto per Expo 2030: non solo il voto del Giappone ma anche quello di altri paesi che ci guarderanno. Ne siamo ben consapevoli».
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