Antonio Mancini, la falsa morte di Accattone: «Così mi allungano la vita». L’errore causato dall’omonimia

Ieri si era diffusa la notizia relativa al decesso (mai avvenuto) di Antonio Mancini. L’errore è stato causato dall’omonimia con un altro ex boss della banda della Magliana

Mercoledì 3 Gennaio 2024 di Cristiana Loccioni
Antonio Mancini, la falsa morte di Accattone: «Così mi allungano la vita». L’errore causato dall’omonimia

È vivo e sta bene Antonio Mancini, l’ex componente della banda della Magliana che vive a Jesi da 20 anni e che per qualche ora è stato protagonista involontario di una fuga di notizie su una sua presunta morte, che in realtà riguardava un suo quasi omonimo. «Stanotte non ho chiuso occhio – racconta mentre prepara il caffè in casa – è stato un viavai di messaggi, ai quali ho risposto da vivo e vegeto.

Meglio così, smentire una fake news da vivo», sorrideva. Ironizza sulla sua dipartita annunciata sui media nazionali, e anche sull’età che gli è stata attribuita. 

L'età

«Io ho dieci anni di meno, 75», tiene a precisare. «Ho due figlie e quattro nipoti, potete immaginare le lacrime e i pianti. Li ho tranquillizzati, “prima di piangere aspettate… domandate!”. Un’amica giornalista mi ha chiamato: “Hai fatto la prova per vedere chi ti segue al funerale?”». A proposito. «Sto scrivendo un libro su chi è davvero deceduto – racconta -, di solito sono i giornalisti che dopo la morte di un personaggio conosciuto ne raccontano la vita, io invece la sto scrivendo facendo parlare i morti». Contenuto top secret.
Ancora un sorriso: «Quando ho appreso la notizia della mia scomparsa ho pensato “qui sono morto anche io e nessuno me lo ha detto!”, per sconfiggere la paura della morte bisogna ironizzare». Scherzo del destino, e di una parziale omonimia. A passare a miglior vita non è stato Antonio ma Luciano Mancini, anche lui ex della banda della Magliana, scomparso il 2 gennaio a 85 anni. Antonio Mancini, protagonista della malavita romana tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, nato e vissuto a Roma nel quartiere San Basilio, nei primi anni ’80 entra tra i componenti della famigerata organizzazione criminale che voleva conquistare Roma a colpi di sequestri di persona, gioco d’azzardo, scommesse ippiche, rapine e traffico di droga. Nel 1994 Antonio diventa collaboratore di giustizia. 

L’ironia

«Quando fai una scelta di vita è inutile nascondersi», riflette. Dopo aver pagato il debito con la giustizia, la svolta, perché «cambiare si può, basta volerlo davvero». La nuova vita è a Jesi da più di 20 anni. «Devo tutto a un ispettore di polizia, Angelo Sebastianelli, al presidente dell’Anffas, Antonio Massacci, e al Comune di Jesi, mi hanno offerto la possibilità di reinserirmi nella società. Ho fatto tutta la mia galera, il carcere duro, poi per 10 anni ho avuto la possibilità di restituire qualcosa». Si è riscattato con un lavoro da assistente nel trasporto dei disabili, grazie alle famiglie che dopo la diffidenza iniziale lo hanno accolto. «Nel pulmino ogni giorno era festa. Mi sono sentito io disabile, che avevo ferite da curare». Chiude con ironia . «La notizia della mia morte a 85 anni mi ha allungato la vita. Ne ho almeno altri 10 assicurati».

Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 13:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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