Lo sfregio del degrado nel cuore della città

Martedì 4 Ottobre 2016 di Maria Latella
Molti manuali, nelle più diverse lingue, invitano le donne a viaggiare da sole. È un’esperienza che arricchisce, sostengono. Ed è vero. Contribuisce alla self-confidence: misurarsi con il viaggio e la solitudine delle sere in città straniere, fortifica. Anche questo è vero. Poi uno legge della quarantanovenne turista australiana che aveva creduto a quel che ci raccontano, alla favola che ci siamo riprese la notte. Come gli uomini. Possiamo andare a ballare da sole. Come gli uomini. Possiamo andare a bere una birra da sole. In un pub. Come gli uomini. E fidarci di chi ci propone di riaccompagnarci in hotel. Se un uomo viene riaccompagnato verso il suo albergo da una donna, non si aspetta di essere di lì a poco aggredito, derubato e violentato. Invece, alle donne succede.

Ed è successo a Roma, l’altra notte. Lei è da sola, in un pub. Chiede informazioni su come tornare in albergo. Accetta di essere accompagnata fin lì. Ma in albergo non ci arriverà. Una cinquantenne ingenua, diranno quelli che conoscono Roma. Il punto è proprio questo: i turisti di continenti lontani non conoscono la Roma degli ultimi decenni. Hanno di Roma, e dell’Europa, nozioni vaghe, da cartolina, da film con Gregory Peck e Audrey Hepburn. Nel migliore dei casi Woody Allen. Quando succede quel che è successo a Colonia, il Capodanno scorso, forse anche ad Adelaide, Australia, o nella provincia di Auckburn, Nuova Zelanda, capiscono che l’Europa non è più il continente dove gli uomini sanno corteggiare e sanno vestirsi. Non è più vera, né l’una né l’altra cosa.
Proviamo a fare qualche supposizione. La turista violentata l’altra sera arriva da un’area del pianeta, il continente australe, dove la convivenza è ancora molto civile. I rapporti tra umani, rilassati. In Nuova Zelanda, mi dicono, nei piccoli centri non si ha l’abitudine di chiudere la porta a chiave. Perfino a Sidney, che è megalopoli dell’Australia più cosmopolita, la porta di casa non si chiude, o almeno così mi racconta un amico.

Insomma, la turista vittima di un’orribile e traumatica esperienza arriva da una società meno aspra e sicuramente meno violenta della nostra. Mi chiedo: se fosse andata in vacanza a New York, o a Chicago, si sarebbe abbandonata con la stessa fiduciosa aspettativa a una notte con uno sconosciuto? Forse no. Certo, Roma non è Chicago, pure, nei due mesi che ho di recente passato nella città di Obama, ogni straniero veniva accuratamente informato dei rischi che correva allontanandosi da certe zone. Roma non è Chicago, ripeto, ma sta affrontando con un eccesso di fatalismo le aggressioni ai turisti che costituiscono fonte principale del suo reddito. I casi di violenza, fino all’estremo dell’omicidio, lo studente americano finito nel Tevere pochi mesi fa, rendono urgente un cambio di strategia.
Certo, servirebbe una maggiore presenza delle forze dell’ordine. Di notte, e nelle zone del centro che si sanno insicure e che però continuano a essere frequentate dai turisti. Ma servirebbe anche una minore indifferenza dei romani. Di quelli che col turismo vivono e prosperano. E di tutti noi. Ogni hotel, per piccolo che sia, dovrebbe fornire, insieme alle informazioni sui tour della città, anche un decalogo delle dieci cose che a Roma è meglio evitare. Il turista va protetto, anche da se stesso, se è il caso. Non lasciato all’ingenuità di chi crede che la Roma 2016 sia ancora quella di Vacanze romane.
 
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