Roma, 14enni violentate da un rom. Il racconto choc: «Ci ha legato, non avevamo scampo»

Martedì 30 Gennaio 2018 di Adelaide Pierucci
Roma, 14enni violentate da un rom. Il racconto choc: «Ci ha legato, non avevamo scampo»

I particolari della violenza non sono riuscite a raccontarli. Erano più forti i singhiozzi, le lacrime. «Abbiamo capito che non avevamo scampo quando ci hanno trascinato su quei divani vecchi ammucchiati per strada, in un angolo nascosto, e hanno tirato fuori le manette». Con l'audizione protetta delle vittime, due studentesse quattordicenni, la procura, ieri, in sede di incidente probatorio, ha congelato le accuse contro i due ventenni rom accusati dello stupro del Collatino. Una dopo l'altra, le amiche hanno ricostruito la ferocia subita, le botte, le minacce di morte: «Se parlate vi ammazzo». Due aguzzini, un violentatore. Alessio il Sinto, 20 anni, l'amico vestito tutto firmato conosciuto su Facebook, col dito puntato è indicato come il carnefice. Cristian, 26 anni, l'amico, come il palo. «Lui era la staffetta. Era rimasto in fondo alla strada - ha indicato una delle due adolescenti - Doveva controllare che nessuno arrivasse, che nessuno ci salvasse». «Così Alessio ci ha legate una dopo l'altra, ci ha tolto i vestiti...». E poi basta, solo il pianto. «Abbiamo saputo poi i loro veri nomi». Mario Seferovic, Alessio, e Maikon Bilomante Halilovic. «Ho conosciuto Alessio su Facebook. Abbiamo chiacchierato, mi ha chiesto di uscire e ho accettato», racconta la prima vittima al procuratore aggiunto Maria Monteleone che davanti a una psicologa le pone le domande con garbo. «Sono stata io a convincere la mia amica, lei mi sconsigliava. Era una trappola».

LA PREMEDITAZIONE
Lo aveva scritto anche il gip che ha fatto spiccare per i due bosniaci l'ordine di cattura per stupro di gruppo e sequestro di persona: «La scelta del luogo è un primo, importante elemento che dimostra la premeditazione del delitto, così come l'uso delle manette portate con l'intento di legare le vittime ed impedire loro di fuggire durante lo stupro programmato». Per il giudice «il ricorso a un complice demandato a sorvegliare l'accesso al vicolo per consentire la violenza carnale senza timore di essere interrotti» ed aumentare la paura nelle vittime aveva «aggravato ulteriormente un fatto già di per sé estremamente allarmante - dimostrando - una non comune ferocia verso le vittime».

«Quando ha finito ci ha minacciato di morte», hanno pianto ieri. Un silenzio rispettato per terrore. Lo stupro era avvenuto una notte di maggio. Le due amiche si ricompongono, asciugano il trucco, tornano a casa senza dare sospetti. Solo un mese dopo una si confida con la madre, che si va dai carabinieri. La denuncia finisce sulla scrivania del pm Antonio Calaresu. I sospettati vengono arrestati. Alessio Il Sinto sembra il più sfacciato: «Uno stupro?». Lascia intendere che era un gioco, e voluto.
 

Ultimo aggiornamento: 20:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA