Omicidio Varani, Prato all'amica: «Porta un fiore a Luca»

Domenica 27 Novembre 2016 di Adelaide Pierucci
Omicidio Varani, Prato all'amica: «Porta un fiore a Luca»


Un fiore solo, simbolico, da poggiare sulla tomba di Luca Varani all'insaputa di tutti. Marco Prato a poco più di due mesi dall'omicidio del Collatino ha chiesto a un'amica di lasciare un fiore sulla tomba di Luca, il ragazzo che lui stesso ha invitato a casa dell'amico Manuel Foffo la mattina del 3 marzo e che da quella casa è uscito in bara, ucciso senza un perché con 107 colpi tra martellate e coltellate. Del dono da portare al cimitero il pierre dei vip parla in carcere col padre. In uno dei tanti colloqui intercettati nella sala incontri, su disposizione del pm Francesco Scavo, pronto a spedire a giudizio sia Prato sia Foffo per omicidio premeditato aggravato dalla crudeltà. E' il 13 maggio. «Marco dice che nella giornata di ieri» appuntano i carabinieri «ha sentito C. e le ha chiesto di portare un fiore sulla tomba di Luca dicendo testualmente tanto lei non la conoscono e non l'hanno mai vista». Nelle prime settimane del carcere Manuel Foffo e Marco Prato (assistiti rispettivamente dagli avvocati Michele Andreano e Pasquale Bartolo) sono detenuti a Regina Coeli (poi il pierre verrà trasferito a Rebibbia) e vivono il carcere con difficoltà. Manuel si vergogna. Il fratello gli consiglia di non cadere nelle provocazioni degli altri detenuti. «Con gli altri detenuti nemmeno ce la faccio a parlare» risponde Manuel, «I detenuti veri sono quelli che hanno commesso reati d'onore, io ho fatto una infamata». Marco col padre invece parla di progetti da realizzare in carcere. Tra questi, uno filantropico annotano i carabinieri: vorrebbe studiare medicina in quanto a suo dire un detenuto medico «curerebbe con più amore i suoi colleghi detenuti». Ma non solo.

LA DETENZIONE
Vuole anche organizzare un laboratorio musicale per organizzare dei gruppi di ascolto di musica e analisi del testo. Ed il padre sembra assecondarlo dicendogli che c'è già stata una collaborazione di vari artisti italiani col sistema carcerario. «Avrei anche voglia di fare un corso di buddismo». Ma le condizioni del carcere lo riportano a una realtà dura. Non ci sono termosifoni dice - le finestre sono medievali, è tutto rotto, le celle sono da quattro invece che da due, situazioni illegali in base all'ordinamento penitenziario. Ed allora inizia a parlare di conoscenze politiche, forse per smuovere un intervento. «Tu eri consulente del ministero» chiede Prato al padre. E lui: «Consulente non sono mai stato, ho collaborato». A Marco Prato resta la consolazione di essere, come sottolinea, l'unico laureato sui 130 detenuti del suo braccio. E soprattutto «che la verità verrà fuori» per sottolineare la sua estraneità all'omicidio. Ma Foffo nei suoi colloqui dice altro: «La coltellata al cuore l'ha data lui...E poi mi ha anche messo la mano sopra».

 

Ultimo aggiornamento: 09:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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